L’IRLANDA CI RITENTA A VESTIRSI DI PARADISO PER GLI STRANIERI.

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Mentre l’Aibe, l’associazione delle banche estere in Italia, segnala un incremento di cinque punti in sei mesi nell’appeal  dell’Italia verso gli investitori esteri (anche grazie alla percezione favorevole dell’operato e dei programmi del governo Renzi, soprattutto in tema di flessibilità e riduzione del costo del lavoro), ritorna al centro dell’attenzione la Repubblica d’Irlanda.

La verde Irlanda, archiviato il Double Irish dopo le indagini della Commissione Ue, tenta nuovamente di presentarsi come luogo appetibile, ai limiti del Paradiso fiscale, per gli investimenti stranieri. Dublino promette nuovi sconti sulla tassazione delle multinazionali.In un capitolo del budget governativo 2015 si riducono del 100% le tasse su tutto quello che ruota intorno alla proprietà intellettuale, come brevetti e diritti d’autore.

La Camera di Commercio Americana in Irlanda e l’Irish Tax Insitute avevano fatto un pressing massiccio sul governo irlandese, per un’agevolazione che salvasse la fama dell’isola dopo le indagini di Bruxelles e l’addio programmato dal 2015 in poi alla prassi trentennale del Double Irish. Il Dipartimento delle Finanze ha spiegato che la misura servirà a rendere «più attraente» l’Irlanda come meta e sede di sviluppo della proprietà intellettuale per le società straniere. Il disegno deve comunque passare per la legge finanziaria, che sarà approvata entro la fine dell’anno. Lo sconto non è del tutto nuovo. Il fisco irlandese prevede già una detrazione dell’80% sugli utili generati da capitale intellettuale, ma il benefit era sempre rimasto in sordina rispetto al più fruttuoso Double Irish. Lo schema ha garantito un risparmio di “solo” 108 milioni di euro in tasse nel 2012, contro il cumulo di miliardi di dollari passati per l’ingegnosa triangolazione inaugurata da Apple agli inizi degli anni ’80. Ora che il Double Irish sarà bandito, Dublino si candida ad “ambiente ideale” per la proprietà intellettuale e gli sconti fiscali che ne conseguono.

I beneficiari più probabili della nuova scappatoia dovrebbero essere ancora i giganti di tech e farmacia, tra i primi a delocalizzare la proprietà intellettuale nelle sussidiarie irlandesi. È il caso di Google, che non più di un un paio di anni fa è riuscito a pagare all’erario irlandese 17 milioni di tasse su 15,5 miliardi di ricavi. I redattori del disegno di legge si sono spinti anche oltre le richieste delle lobby interne. La Camera di Commercio americana si sarebbe accontentata di uno sgravio del 90%, contro il 100% stabilito dai sottoscrittori della proposta. Così le deduzioni, più che ridursi, sono aumentate. Anche perché i benefici fiscali non si limitano alle strategie di elusione che sono costate le interrogazioni di Bruxelles, a partire dalla corporate tax: 12,5%, quasi un terzo del 35% che – almeno sulla carta – grava sui conti della società americane e il 24% abbondante della media Ocse. Senza dimenticare altri incentivi contenuti nel piano di budget 2015: esenzioni alle start up nei primi tre anni di attività, credito di imposta del 25% per le società che investono in ricerca e sviluppo, sgravio del 50% per le «micro-birrerie che non producono più di 30mila ettolitri l’anno».

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