La legge di stabilità rischia di innescare un prima forse non preventivato aumento della pressione fiscale. Innanzitutto a causa dell’ulteriore taglio dei trasferimenti dallo Stato agli enti periferici, è alquanto probabile se non addirittura probabile l’aumento di tasse ed imposte locali, a partire dall’addizionale Irpef comunale e regionale. Quel che è più grave è che le clausole di salvaguardia, che dal 2016 prevedono un aumento automatico delle aliquote Iva, possono avere un effetto devastante.
Il governo, da Renzi al ministro Padoan, continua ad assicurare che questi aumenti non scatteranno, ma intanto nella Legge di Stabilità ha previsto 53,3 miliardi di nuove entrate in tre anni (12,8 nel 2016) per effetto del rialzo delle aliquote Iva dal 10 al 13% e dal 22 al 25,5%. Per evitare questa stangata il governo ha una sola strada: tagliare una quota equivalente di spese. Impresa che oggi, come insegna il flop della spending review, si annuncia irta di difficoltà. Va aggiunto che il governo ha deciso di tagliare circa 4 miliardi di euro in cofinanziamenti nazionali ai fondi strutturali e di coesione di fonte comunitaria. Ciò contribuisce a deprimere le economie, soprattutto quelle locali e del Mezzogiorno d’Italia, visto che tali cofinanziamenti vengono utilizzati proprio dalle Regioni a sostegno delle provvidenze Ue destinate all’imprenditoria, spesso giovanile e femminile, locale. Le Regioni, in primis Puglia e Basilicata, sono in questi giorni sul piede di guerra contro il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Delrio che, da par suo, ha replicato dicendo che quei fondi sono bloccati dalla Ue e che dunque non sono stati tagliati.
Secondo Confcommercio incrementi dell’Iva e delle accise di questa entità, qualora si verificassero, produrrebbero un contraccolpo immediato sui consumi facendo perdere all’incirca 65 miliardi di base imponibile (16 miliardi nel 2016, 24 nel 2017 e 25 nel 2018). E di conseguenza anche il gettito ne risulterebbe penalizzato: anziché i 53,3 miliardi attesi l’operazione-salvaguardie ne frutterebbe «appena» 46,5 dando così origine ad un buco aggiuntivo cumulato di 6,8 miliardi in 3 anni. Se a questo si aggiunge che alcune delle leggi precedenti prevedono altre salvaguardie, non totalmente disinnescati dalla nuova legge di stabilità, per un totale di 18 miliardi di euro in tre anni (4 nel 2016 e 7 nel 2017 e 2018), il conto delle coperture richieste per evitare nuove imposte sale all’iperbolica cifra di 71,3 miliardi: 16,8 nel 2016, cifra confermata alla Camera anche da Bankitalia e dall’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), 26,2 nel 2017 e 28,3 nel 2018.
«Bisogna disinnescare queste due bombe fiscali ed evitare che la legge di stabilità invece di effetti espansivi allarghi la crisi: alludo all’alta probabilità che Comuni e Regioni aumentino le tasse e poi all’aumento dell’Iva nel 2016-2018 che graverebbero sui consumi per 65 miliardi» ha spiegato ieri il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli. Il viceministro all’Economia Luigi Casero, intervenendo al Forum dei Giovani di Confcommercio, ha assicurato che «la clausola di salvaguardia non scatterà: i tagli saranno fatti, così come arriveranno gli introiti della lotta all’evasione».
I problemi però non finiscono qui. Sempe l’Upb, analizzando i possibili rischi di realizzazione della manovra, punta il dito «soprattutto» sul «lato delle entrate attese». Parla di «incertezza sulla tempistica e sull’entità dell’emersione dei proventi da giochi», che andrebbero per questo conteggiati «a consuntivo» e giudica «potenzialmente ottimistiche» le previsioni relative alle perdite di gettito legate a decontribuzione e nuovi regime dei minimi. Due voci che fanno ballare un altro miliardo e più alla voce entrate.
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