Piazza Affari ha chiuso oggi in forte calo, condizionata soprattutto dalla pubblicazione, ieri a mezzogiorno, dei risultati dei comprehensive assesment condotti dalla Bce anche sulle principale banche italiane. Come noto, vi è stata una sonora bocciatura per Monte dei Paschi di Siena (riscontrata una carenza di capitale pari a 2,1 miliardi di euro) e Carige (ammanco pari a 800 milioni). Si tratta di cifre importanti.
Tutte le banche, anche Mps e Carige, hanno superato la prima valutazione, quella afferente alla qualità del credito (Aqr, Asset quality review); non così per gli stress test, condotti in misura particolarmente rigida, con la simulazione di condizioni di crisi congiunturale dell’economia italiana piuttosto rigorose, con simulazione delle conseguenze delle condizioni avverse dell’economia sul patrimonio di vigilanza delle singole banche. Ebbene, le Autorità di Vigilanza europee, a seguito di tali test, hanno ritenuto insufficiente la dotazione patrimoniale di diversi istituti di credito ed in particolare di Mps e Carige.
A fronte di un giudizio generalmente positivo sull’esito dei test Bce, il mercato ha penalizzato particolarmente le due bocciate italiane – Mps e Carige – entrambe con cali a doppia cifra. Di riflesso ha pagato dazio tutto il settore con l’indice di riferimento in calo di oltre il 4%. MPS, uscita dai test con una carenza patrimoniale di 2,1 miliardi, ha ceduto il 21,50% con volumi pari a 3 volte la media. Gli analisti scommettono su un prossimo aumento di capitale, anche se non vengono esclusi strumenti come l’emissione di additional Tier1. CARIGE ha lasciato sul terreno il 17,19%, con volumi oltre 4 volte la media, dopo aver evidenziato una carenza patrimoniale di 814 milioni. La banca ha già annunciato un aumento di capitale da 500-650 milioni con la garanzia di Mediobanca.
Non è forse un caso che la Bce abbia bocciato proprio Monte dei Paschi e Carige, entrambe controllate, sino a ieri, da una fondazione bancaria locale ed espressione dei vari potentati locali, soprattutto politici (a Siena si è sempre parlato di “groviglio armonioso”) e permeabili a corruzioni e corruttele. Il Monte dei Paschi di Siena, in particolare, la banca più antica al mondo, sino a 10-15 anni fa solida e fortemente patrimonializzata, nel giro di pochi anni – grazie alla conduzione scriteriata del duo Mussari – Vigni e dell’azionista di riferimento Fondazione Mps – e forte delle pressioni politiche, si è avventurata in operazioni scriteriate – ultima quella di Antonveneta – che l’hanno portata sull’orlo del tracollo, “salvata” dai Nuovi Strumenti Finanziari collocati presso lo Stato Italiano per 5 miliardi di euro, ad un tasso praticamente capestro. Meglio sarebbe stata la nazionalizzazione diretta, anche per salvaguardare i livelli occupazionali, come è stato fatto per esempio in Spagna, facendo ricorso alle risorse del Fondo Salva Stati, alimentato in misure consistente dal nostro Paese. Probabilmente meglio che ricorrere a continui aumenti di capitale, rincorrere i prestiti onerosissimi dello Stato italiano, promuovere dolorosi tagli del personale e cessioni di rami d’azienda, con tutto quello che ne può conseguire. Dopo ogni aumento di capitale il valore della banca si deprezza: oggi vale meno dei 5 miliardi dell’ultimo aumento di capitale. Carige, da parte sua, ha annunciato un aumento di capitale con il quale si spera di far fronte alle difficoltà.
Ritornando agli stress test è vero che gli stessi sono stati particolarmente rigidi, soprattutto per le banche italiane, ma va pur ammesso che l’Italia è esposta per il quarto anno consecutivo alla recessione e che vi sono segnali inequivocabili e ormai continuativi di deflazione. Per di più, il governo utilizza ed ha a propria disposizione scarsi mezzi per rilanciare l’economia con nuovi investimenti, anche a causa delle pressioni recenti della Commissione Ue sulla riduzione del debito pubblico. Il sistema bancario italiano ed europeo non ha realmente allentato il credit crunch, né in tal senso ha fornito un concreto sostegno la recente politica monetaria della Bce con i Tltro, i finanziamenti a tre anni allo 0,15% da destinare all’economia reale attraverso le banche dell’Eurosistema: pochi i miliardi richiesti rispetto a quelli offerti da Francoforte, molti utilizzati per chiudere precedenti esposizioni a tre anni verso la Bce (Ltro) o per l’acquisto di titoli di Stato. Tutte operazioni rivelatesi utili anche all’approssimarsi degli assessment Bce, per aggiustamenti e riequilibri di bilancio. Per altro negli scorsi giorni la stessa Bce ha dichiarato che gli stessi Ltro possono essere utilizzati anche per l’acquisto di bond governativi, nell’attesa di trovare controparti (imprese o famiglie) con merito creditizio adeguato cui imprestare il denaro dell’Eurotower.
Le sorti del Monte dei Paschi non sono ancora note: le banche bocciate hanno 15 giorni di tempo per presentare i propri piani di ristrutturazione. Per il Monte si parla di un aumento di capitale da 2 miliardi, ma anche di possibili fusioni con altre banche, ma vi è anche la suggestiva ipotesi di un ritorno all’antico, con una banca concentrata su Toscana, Umbria e Lazio e che conservi il potere a Siena ed alla fondazione. Le filiali del Nord verrebbero fatte oggetto di cessione, mentre le filiali del Sud, meno appetibili e pare ricche di sofferenze, andrebbero a confluire in una bad bank che potrebbe essere nazionalizzata. Chi vivrà vedrà.
Tutte queste vicende la dicono lunga sull’eccessiva rigidità di regole come quelle di Basilea sull’adeguatezza del patrimonio delle banche e dall’altra di quelle del Fiscal Compact per i bilanci degli Stati. Tutte regole e condizioni che convivono e contribuiscono a deprimere le economie. Ciò porta a chiedere un ripensamento, quanto meno un allentamento di tali regole. Nel campo del credito, un ruolo più forte degli Stati nazionali ed una maggiore apertura all’erogazione del credito da parte di soggetti non bancari (compagnie di assicurazioni, fondi pensione, fondi di equity, fondi comuni di investimento, Sicav), soggetti a regole meno severe in tema di concessione del credito.