Le politiche di austerity perseguite da diversi anni ormai dalla Commissione Ue ed in genere dalla Troyka (Commissione Ue, Fmi, Bce), quelle che, tra l’altro, hanno condotto al Trattato di Maastricht ed all’approvazione del famigerato Fiscal compact, scricchiolano sempre di più. Financo in Germania, che può considerarsi la musa ispiratrice di tali politiche, dove in questi giorni la cancelliera Angela Merkel si trova presa da garbato assedio dagli alleati di governo dell’Spd, che chiedono l’allentamento dell’austerità e che anche la Germania, dopo la Francia, riservi parte delle finanze ad investimenti per la crescita.
La Germania non si trova nelle stesse condizioni di partner come la Francia e Paesi euromediterranei come Grecia, Spagna, Portogallo e Italia; non è ancora in recessione, ma le stime di crescita del suo Pil sono state drasticamente tagliate, a causa anche della ridotta produzione industriale, che risente della minore domanda interna e della minore domanda esterna. E’ un dato di fatto piuttosto scontato che la produzione industriale tedesca stia subendo qualche battuta di arresto già da qualche mese anche in conseguenza della recessione di molti Paesi che acquistano materie prime dalla Germania. Tale condizione dovrebbe dunque spingere anche il Paese forte dell’Unione ad adottare politiche economiche un po’ più espansive. L’Italia di Renzi sta cercando di andare verso tale direzione con l’annunciata nuova Legge di Stabilità da 36 miliardi di euro, che prevede innanzitutto un maggior indebitamento per circa 12 miliardi, determinato dall’aumento della forbice deficit/Pil a 2,9%. Un’opzione concreta fortemente voluta dal governo, in qualche modo sfidante nei confronti della Commissione, che infatti potrebbe anche bocciare quella che si chiamava legge finanziaria, anche se non sono pochi quelli che ritengono che tale evenienza sia piuttosto lontana.
Come ha dimostrato già la Francia, non è più tempo di austerità e di grandi sacrifici per lo Stato ma soprattutto per i cittadini, massacrati – soprattutto i greci – dai forzosi e sanguinosi “piani di rientro” imposti dalla Troyka. Nella legge di Stabilità italiana si trovano grazie al maggior deficit ed ai risparmi della spending review cottarelliana, spazi – anche se ancora parziali – per gli investimenti. La riduzione della pressione fiscale, tra imprese e famiglie, è significativa. E va anche riconosciuto lo sforzo di coprirla il più possibile con tagli di spesa per 15 miliardi (12 nuovi più 3 già previsti). È vero però che una quota della copertura arriva ancora una volta dalla stima del recupero dell’evasione (3,8 miliardi) e che i tagli di spesa vengono per una parte riassorbiti da nuove spese. Ma soprattutto c’è il rischio che i circa 6 miliardi di tagli che gravano su Regioni e Enti locali si possano tradurre in nuove tasse. Un rischio molto concreto se si considera che dal 2000 la pressione fiscale locale è aumentata dell’80%, cioè da 47 a oltre 81 miliardi.
Proprio oggi le Regioni si sono lamentate dei cospicui tagli che le riguarderanno: il rischio è quello non solo di veder crescere le imposte locali, in compensazione ai nuovi tagli ai trasferimenti, ma che una parte consistente dei risparmi coinvolga la sanità, già carente nei servizi in molte regioni d’Italia, soprattutto nel centro-sud. Quello della sanità è in verità un capitolo a se stante, in considerazione anche degli enormi sprechi di danaro e delle corruttele che da sempre hanno trovato terreno di coltura nel sistema sanitario locale. Il definitivo redde rationem tra Stato centrale ed Enti Locali verrà molto presto, probabilmente, se è vero che lo stesso Cottarelli ha indicato un ulteriore motivo di spreco nell’esagerato numero di comuni – ben ottomila – che andrebbe ridotto: i comuni più piccoli dovrebbero infatti associarsi rinunciando alla propria autonomia identitaria. Per non parlare dei tanti enti inutili da sopprimere o accorpare con altri, operazione che verrà condotta a rilento e con il bisturi, viste le enormi resistenze che va inevitabilmente incontrando.
Un’altra buona azione è sicuramente quella della soppressione della voce “costo del lavoro” nell’Irap (tra i 5 e i 6,5 miliardi) come pure la previsione dell’esenzione dal pagamento dei contributi per i primi anni per le imprese che assumono disoccupati con il nuovo contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti che, quindi, diverrebbe economicamente più convenienti per chi assume rispetto a forme maggiormente precarie come, per es., il contratto a termine (e non solo). Questo va bene purché si sostenga la domanda interna, che si è fortemente depressa negli ultimi anni. Qualche misura di qua e di là come incentivi alla ricerca e stabilizzazione di insegnanti precari, anche se si attende di più dall’Europa e dalle banche – a dir vero nel caso delle banche non tantissimo – per lo sblocco del credit crunch. Ci vorrebbe una politica economica battagliera da parte di tutte le autorità preposte. In Italia bisognerebbe combattere con forza la corruzione, che pure si annida nelle pieghe della enorme spesa pubblica, anche periferica, e l’evasione fiscale, senza però offrire vaste praterie di impunità e condono agli evasori che dall’estero rimpatrino i capitali con la disclosure ed a quelli che in patria alimentano invece profitti in nero.
Ma la coperta è ancora una volta corta: la legge di Stabilità colpisce la previdenza privata e complementare. Secondo indiscrezioni, per le Casse di previdenza delle professioni la tassazione delle rendite finanziarie, ora al 20% salirà al 26% come per qualsiasi investitore privato. Per i fondi di previdenza complementare il conto del Fisco salirà dall’11,50 al 20 per cento.La norma, discussa ieri in Consiglio dei ministri, prevede entrate dalle rendite finanziarie pari a 3,6 miliardi, di cui 2,6 dall’aumento deciso a inizio anno della tassazione delle rendite finanziarie passata dal 20 al 26 per cento. E queste sono ingiuste nuove tasse sul lavoro!
Un miliardo e 200 milioni arriveranno dall’aumento della pressione fiscale sulle fondazioni bancarie, sui fondi di previdenza complementare. Le polizze vita, che ora sono esenti Irpef per gli eredi, dovrebbero essere sottoposte a una tassazione al 26 per cento nella componente finanziaria.
Nel frattempo, negli ultimi giorni le borse sono colate a picco ed è aumentato lo spread anche per i titoli di Stato italiani, avvicinatosi a 200 punti base. I mercati sono sensibili dunque al clima di incertezza che si respira in Europa, a partire da Atene, che forse non riuscirà ad abbandonare il piano di rientro per il 2015, sino all’Italia con le banche colpite da tante vendite, a partire da Mps, che forse non passerà gli stress test dell’Eba. Inoltre, nonostante i proclami di Draghi, la Bce sembra vicina a dover abbandonare i propositi di Qe, acquisto di titoli di Stato dell’Eurozona, a causa delle resistenze interne al consiglio della banca centrale di Francoforte. La Fed, per contro, sembra prepararsi al Qe4, il quarto round di acquisti di T-bond, dopo che pareva oramai deciso il disimpegno.