INTESA SANPAOLO ED UBI BANCA FANNO IL BOTTO CON GLI UTILI DELL’ULTIMA TRIMESTRALE.

Ubi Banca ha chiuso i primi nove mesi del 2014 con un utile netto di 149,8 milioni, in aumento del 47% rispetto allo stesso periodo del 2013. I proventi operativi sono saliti del 2,9% a 2,56 miliardi, con margine di interesse a 1,4 miliardi (+6,6%) e commissioni nette a 908,2 milioni (+2,3%). In calo del 2,5% a 1,56 miliardi gli oneri operativi, per un rapporto cost/income sceso al 61,1%. Nel solo terzo trimestre l’utile è stato di 43,6 milioni, superiore ai 33 milioni previsti dal consensus degli analisti.

Sopra le attese anche proventi operativi (a 821,7 milioni contro gli 807 del consensus), margine di interesse (467,8 contro 458) e risultato della gestione operativa (303,4 contro 288). Ubi segnala che nei nove mesi il flusso di crediti passati da in bonis a deteriorati è pari a 1,9 miliardi, inferiore del 37,2% rispetto allo stesso periodo di un anno primo. Sempre in tema di qualità del credito, nei nove mesi dell’anno le rettifiche sono salite a 626,2 milioni contro i 576,6 milioni dello stesso periodo del 2013, portando il costo del credito annualizzato a 98 punti base da 86. Quanto all’andamento degli aggregati patrimoniali, la raccolta diretta totale è scesa a 87,9 miliardi dai 92,6 di fine 2013 (-5%), mentre gli impieghi verso la clientela sono diminuiti del 3,9% a 85 miliardi. Lo stock di crediti deteriorati netti si è mantenuto sostanzialmente in linea rispetto alla fine del 2013 (+1,5%), a 9,45 miliardi. Il coefficiente common equity tier 1 calcolato con la parziale applicazione delle regole di Basilea 3 è pari al 13%, mentre il dato pro forma stimato a regime è pari al 12%.

In merito alle prevedibile evoluzione della gestione, Ubi prevede che «il margine di interesse sarà influenzato dall’andamento dei volumi medi intermediati, dalla scadenza di titoli governativi nel quarto trimestre (che verranno sostituiti in maniera opportunistica), dai benefici degli interventi di repricing già attivati sul lato del passivo e dalla tenuta del rendimento degli impieghi a medio-lungo termine». L’istituto stima inoltre «che le commissioni nette beneficino della consueta e positiva stagionalità che caratterizza l’ultima parte dell’esercizio». e «una riduzione degli oneri operativi ricorrenti su base annua». «Il rallentamento del flusso di nuovi crediti in default registrato nei primi 9 mesi dell’anno e le risultanze dell’aqr – si legge ancora nel comunicato – consentono di confermare, su base annua, le attese di un leggero miglioramento complessivo del costo del credito in termini di valore assoluto rispetto al 2013».

Intesa Sanpaolo fa il botto con gli utili: 1,642 miliardi nei primi nove mesi dell’anno, che scendono a 1,2 miliardi con l’aumento retroattivo del prelievo fiscale sulla quota Bankitalia ma fanno comunque segnare una crescita dell’88% sul 2013. La trimestrale vede un risultato ante imposte positivo di tutte le business unit (in particolare la Banca dei territori fa segnare un +138%), il miglioramento degli interessi netti (+3,9% a 6,3 miliardi) e del risparmio gestito (le masse sono salite di 32 miliardi, di cui la metà proveniente dalla conversione della raccolta amministrata), un trend che consente di portare le commissioni nette a un passo dai 5 miliardi (miglior risultato dal 2007). A contribuire pesantemente alla redditività, anche la conferma del rallentamento dei flussi di nuovi crediti deteriorati provenienti da posizioni in bonis: 6,1 miliardi nei primi nove mesi dell’anno, 1,3 in meno dello stesso periodo 2013, ne consegue che gli stanziamenti a fronte dei rischi creditizi scendono del 12,7% a 3,5 miliardi, pur al netto delle rettifiche imposte dall’Aqr e a fronte di un livello di copertura dei crediti deteriorati che si posiziona al 47,2%.

«Nonostante le indubbie difficoltà che l’economia italiana sta affrontando siamo in grado di confermare tutti gli impegni assunti con il piano d’impresa, compresa la distribuzione di almeno 10 miliardi di euro di dividendi nei prossimi quattro anni». Lo ha sottolineato in una nota l’a.d. di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, commentando i risultati dei primi 9 mesi dell’anno.

Intanto per il Monte dei Paschi di Siena che ha confermato negli scorsi giorni il varo, per la prossima primavera, di un nuovo aumento di capitale sino a 2,5 miliardi, si sono diffuse, già a partire da ieri pomeriggio, voci insistenti su un interessamento dei francesi di Bnp – Paribas circa l’acquisto dell’istituto di Rocca Salimbeni. Radio 24 ha parlato, invece, di semplici sinergie commerciali con Bnl, controllata al 100% dal colosso d’Oltralpe.
Dovendo guardare alle ripercussioni di tali notizie sull’andamento dei relativi titoli in Piazza Affari, se la seduta di ieri era stata contrassegnata da acquisti, anche significativi, sui principali titoli bancari, l’andamento odierno è stato del tutto negativo: l”indice FTSE Mib ha terminato infatti a -2,87%. In drastica discesa poi proprio il settore bancario che in media ha perso il 4,6% a fronte del -2,2% dello stoxx europeo. Il clima è stato condizionato anche dalla maximulta su cinque grandi gruppi esteri imposta da Stati Uniti e Gran Bretagna per carenza di controlli nell’attività di trading sui cambi. In generale i risultati trimestrali delle banche italiane non sono stati buoni, secondo gli analisti, ma è difficile distinguere caso per caso. Ubi, ad esempio, che ha sorpreso in positivo, oggi ha perso il 2,7%”. POP MILANO ha chiuso  a -7,28%, MPS a -6,5%, UNICREDIT a -5,6%.
Secondo un trader, il cui parere è stato raccolto da Reuters Italia, le banche si stanno concentrando sempre più sul loro business tradizionale che ha prospettive di crescita molto più modeste delle attività finanziarie e che è molto legato all’economia del paese. E proprio su questo sta emergendo un po’ di sfiducia sul fatto che le riforme di cui si parla tanto si facciano veramente. Dunque sull’andamento della Borsa di Milano e dei titoli bancari incide anche il clima non proprio disteso di questi giorni tra istituzioni europee e Palazzo Chigi, sollecitato ad approvare con maggiore rapidità quelle riforme strutturali che, a parere di Bruxelles, servirebbero a rilanciare l’economia italiana.

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