Europa, la Bce porta a zero il costo del denaro ed incrementa l’acquisto dei bond statali.

Il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, ha annunciato ieri un pacchetto di misure di stimolo monetario ben al di là delle attese, a fronte del netto peggioramento del quadro macroeconomico dell’eurozona. Lo ha fatto andando anche contro i malumori della Germania. Berlino, tuttavia, non aveva, a questo giro, potere di veto sull’adozione di misure di politica monetaria decisamente più concilianti.

Il consiglio della Bce ha votato  un complesso di interventi che comprende il taglio dei tassi d’interesse, portando a zero il tasso di riferimento (tasso di rifinanziamento), l’ampliamento dell’acquisto di titoli (il Qe) e la creazione di quattro nuove operazioni di finanziamento alle banche, le Tltro, destinate a favorire il credito all’economia reale anche con la concessione di un “rimborso” alle banche da parte della Bce. Le nuove misure annunciate si sono rese necessarie a causa di uno scenario economico nettamente peggiorato rispetto a dicembre, quando le previsioni dello staff della Bce erano state considerate ottimiste da molti economisti indipendenti. L’inflazione resterà negativa ancora per diversi mesi a causa del crollo del petrolio e, secondo le nuove previsioni pubblicate ieri, crescerà solo dello 0,1% quest’anno (contro l’1% stimato a dicembre), dell’1,3% l’anno prossimo (contro l’1,7%) e dell’1,6% nel 2018. La previsione non tiene conto delle misure annunciate ieri, che la Bce confida possano riportarla «sotto, ma vicino» al 2%, come da obiettivo. Taglio anche per le stime di crescita – che procede a ritmo “moderato”, ma più debole di quanto si riteneva a inizio anno e con rischi al ribasso – all’1,4% nel 2016 (dall’1,7), all’1,7% nel 2017 (dall’1,9). Nel 2018 l’economia dell’eurozona dovrebbe crescere dell’1,8%. Ma si tratta di semplici stime e l’esperienza insegna come spesso e volentieri le stesse siano sovvertite – in termini negativi – dai fatti.

 

Per stimolare ulteriormente i finanziamenti delle banche all’economia, la Bce ha anche tagliato di 10 punti base il tasso sui depositi delle banche presso la Bce stessa, portandolo come atteso a -0,40%. Tale misura, nelle intenzioni di Francoforte, dovrebbe disincentivare ulteriormente le banche a parcheggiare la liquidità in Bce e spingerle agli impieghi, grazie poi all’azzeramento del tasso principale di rifinanziamento ed allo 0,25% di quello marginale, tagliato di di 5 punti base. Si tratta in tutti e tre i casi dei minimi storici.

 

Draghi ha indicato che i tassi della Bce resteranno ai livelli attuali, o ancora più bassi, per un lungo periodo di tempo, e ben oltre la conclusione del Qe, prevista per il marzo 2017. Ha anche affermato che non si vede per il futuro la necessità di ulteriori tagli, a meno di un cambiamento della situazione. Sul Qe è passato un aumento da 60 a 80 miliardi di euro dell’importo mensile dell’acquisto di titoli e l’inclusione delle obbligazioni societarie (non bancarie) denominate in euro, emesse da imprese europee, che abbiano un rating “investment grade”, anche questa per migliorare la trasmissione all’economia reale. Entrambi gli elementi vanno al di là delle aspettative della vigilia. La Bce ha anche aumentato dal 33 al 50% la quota di titoli acquistabili emessi da organizzazioni internazionali e banche multilaterali. Questo per ovviare a quella che si ritiene potrà essere una scarsità di titoli di Stato (soprattutto tedeschi) nel prosieguo del programma.

Gli effetti sulla crescita

Con l’insieme delle misure programmate, la Bce prevede dunque di contribuire in misura significativa alla crescita dell’economia, dunque del Pil, in Eurozona.  Ovviamente il principale volano della crescita individuato da Francoforte nel suo agire quotidiano e conformemente al suo statuto, non può che essere il sistema bancario. Dal più generoso Qe al taglio dei tassi all’appesantimento della penalizzazione (- 0,40%) dei famosi depositi overnight, a nuovi finanziamenti a prezzi stracciati – anzi con rimborso – alle banche da utilizzare sotto forma di nuova finanza ad imprese e famiglie, le banche hanno teoricamente un ventaglio ancor più ampio di strumenti per accompagnare l’economia reale.

Certamente le banche disporranno di maggiori liquidità che da un lato serviranno a consolidare il patrimonio e ad ingentilire i bilanci (soprattutto per potersi presentare preparate ai test Srep periodicamente imposti dalla vigilanza bancaria europea), dall’altro certamente a dotarle di uno stock più consistente di danaro fresco da utilizzare per la concessione di finanziamenti a condizioni più favorevoli per la clientela, anche se non è assolutamente da escludere che molte banche continueranno a prediligere i depositi overnight, anche se penalizzanti, piuttosto che utilizzare tanta liquidità in finanziamenti spesso rischiosi, visto che il contesto macroeconomico di riferimento permane ancora rischioso e nebuloso. Il peso delle sofferenze è significativo, l’economia non si è ripresa ed il rischio default delle controparti di un finanziamento bancario rimane ancora alto. Inoltre molte banche preferiscono conservare in portafoglio quote anche significative di titoli di Stato che riconoscono rendimenti non esaltanti ma comunque certi e costanti, talvolta considerati nel raffronto superiori a quelli dei finanziamenti erogati, in considerazione dell’utile più risicato causa contrazione dei tassi d’interesse applicati alla clientela, rettificato in pejus dalla probabilità di default del soggetto finanziato (spesso imprenditore).

 

L’aumento dell’importo del QE da 60 e 80 miliardi è comunque mirato ad abbassare ulteriormente la curva dei rendimenti dei titoli di Stato, nella parte a breve e anche sulla parte a lungo termine, sebbene quest’ultima temporaneamente perchè legata alle aspettative sull’inflazione. Da quanto il QE è iniziato, i rendimenti sono calati ovunque: secondo statistiche Bce, i rendimenti dei titoli di Stato decennali in euro (in media e soppesati per il Pil) sono scesi di 120 punti base dal giugno del 2014, l’era pre-QE. Sono diminuiti di più nell’eurozona periferica, e l’Italia ne ha tratto beneficio: ecco perchè lo spread si è stretto, i rendimenti dei titoli tedeschi (anche se sottozero fino a 9 anni) sono scesi meno di quelli italiani. Ciò è di tutta evidenza assai positivo per le casse di Stati come l’Italia, che grazie all’azione di alleggerimento quantitativo, beneficiano di una rilevante riduzione della sorte interessi da corrispondere ai detentori del debito pubblico.La curva dei rendimenti italiana negli ultimi due anni, prima del QE e dopo, ha visto per esempio il rendimento del BTP a 5 anni calare di 70 centesimi, il decennale oltre 100 punti. I rendimenti dei titoli di Stato italiani da 6 mesi ai 2 anni sul secondario ora sono tutti negativi, due anni fa erano positivi.

Il calo della curva dei rendimenti dei titoli di Stato fa scendere anche i tassi delle obbligazioni societarie e bancarie: le aziende finanziarie e non hanno potuto finanziarsi a costi più bassi sul mercato dei capitali grazie al QE1 e QE2. Il fatto che la Bce inizierà ad acquistare corporate bond con rating a livello d’investimento nel QE3 dovrà spingere le grandi imprese italiane, restie a ricorrere ai bond rispetto a quelle tedesche e francesi, a emettere di più titoli obbligazioni per sfruttare questa nuova opportunità (cfr. Isabella Bufacchi, Circolo virtuoso tra prestiti e Pil, http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2016-03-11/circolo-virtuoso-prestiti-e-pil–073048.shtml?uuid=ACIFTFmC).

I limiti dell’azione della Bce

Un limite reale della Bce rimane però il divieto statutario di prestare danaro ai singoli Stati membri. Una strategia più efficace in favore della crescita infatti dovrebbe consentire alla Bce di finanziare direttamente gli Stati e la loro spesa pubblica, se e quando la stessa è orientata a sostenere l’economia e la creazione di nuovi posti di lavoro. Tali condizioni certamente possono essere proficue per rilanciare l’economia reale, il Pil e addivenire ad un’inflazione media pari almeno al 2%.

L’azione del credito bancario dovrebbe costituire, in un tale sistema – che è poi quello che abbiamo avuto pre-Bce – un supporto aggiuntivo rispetto all’azione dei pubblici poteri. Abbiamo in più occasioni rilevato come le banche siano vincolate a rigidi criteri – quelli di Basilea III – in tema di erogazione del credito, criteri che diventano ancor più rigidi in condizioni di crisi economica e di deflazione, per cui i rubinetti non sempre si aprono. Oltre a questa riforma, indispensabile, da più parti economisti e non chiedono l’adozione di misure di politica fiscale che consentano di restituire denaro da spendere ad imprese e consumatori – con una tassazione minore e soprattutto mirata – e con una efficace lotta ad elusione ed evasione fiscale.

 

 

 

 

 

 

 

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