Previsti scarsi effetti pratici dal Quantitative Easing 2.0

Il 3 dicembre 2015 il board of directors della Bce ha deliberato un “rafforzamento” del piano quantitative easing già in corso. Questi i principali punti:

  • nuovo taglio del tasso dei depositi bancari in Bce (depositi overnight) da -0,20 a -0,30%, con l’obiettivo di incentivare l’erogazione di nuova finanza all’economia grazie ad una più intensa penalizzazione delle liquidità acquisite dalle banche con la vendita dei titoli alla Bce e congelate presso la stessa;
  • prolungamento della scadenza del piano di 6 mesi (da settembre 2016 a marzo 2017);
  • allargamento degli strumenti finanziari acquistabili da Bce ai municipal bond (in particolare ai titoli del debito pubblico emessi dai Laender tedeschi).

Non è stato previsto invece, alcun incremento del budget a disposizione della banca centrale per il «Qe».

La Bce ha avviato il suo piano quantitative easing nel marzo scorso, stampando nuova moneta attraverso la quale acquistare sui mercati secondari titoli di Stato dell’Eurozona e alcuni tipi di titoli privati per un controvalore mensile di 60 miliardi. L’obiettivo ufficiale è fornire nuova liquidità alle banche al fine di spingerle ad erogare più prestiti a famiglie e imprese, rompendo dunque quell’odioso e consolidato fenomeno noto con il nome di credit crunch. Francoforte infatti acquista tali titoli in prevalenza da banche ed altri intermediari finanziari, che sono quelli che hanno in portafoglio maggiori strumenti finanziari del tipo richiesto.

Lo scopo è far ripartire l’economia e l’inflazione. Come ulteriore mossa per esortare le banche a prestare, la Bce ha anche fissato su livelli negativi (-0,2% ora portato a -0,3%), il tasso sui depositi presso la Bce, ovvero quello che pagano alla Banca Centrale le banche che decidono di parcheggiare presso di essa le liquidità che non intendono utilizzare al momento nella propria attività, in special modo in quella creditizia. Tale misura avrebbe dovuto contribuire a far investire nell’economia reale le nuove e maggiori liquidità acquisite dalle banche grazie al quantitative easing.  Le cose in realtà sono andate e stanno andando in direzione del tutto opposta: il pacchetto di stimoli adottato dalla Bce infatti non ha prodotto risultati confortanti. Leggendo il bilancio della Bce emerge che le banche dell’Eurozona hanno parcheggiato presso di essa l’80% della liquidità immessa attraverso il «Qe». Dato preoccupante, considerato che si è passati dal 65% del 2008 (inizio della crisi) all’80% di marzo 2015, quando il programma di «Qe» della Bce è iniziato.1 La gran parte della liquidità del «Qe» non è stata dunque utilizzata.

Così la cinghia di trasmissione del denaro nella catena Bce–banche-prestiti a famiglie e imprese resta inceppata. La creazione di denaro viene interrotta quando le riserve in eccesso vengono accumulate presso la Banca centrale e non invece diminuite attraverso un’accelerazione dei prestiti all’economia. Ad oggi, le riserve in eccesso ammontano a 566 miliardi di euro, con un costo che è pari a più di 1 miliardo di euro l’anno per le banche private (con il tasso sui depositi pari a -20bps) . I prestiti alle famiglie per l’acquisto di case si stanno timidamente riprendendo, ma i prestiti alle aziende sono in ritardo. Nei primi 10 mesi del 2015 in Italia i mutui sono cresciuti del 92% su base annua. Non inganni il dato declinato: una buona parte dei “nuovi” mutui sono infatti surroghe  (ovvero miglioramenti di contratti esistenti). Se poi si osserva lo stock di mutui e non solo il flusso delle nuove erogazioni, rispetto all’anno scorso è rimasto praticamente invariato: quindi i nuovi mutui sono andati a compensare quelli che si sono estinti.

Se l’80% della liquidità immessa dalla Bce rimane non utilizzata dalle banche, significa semplicemente che l’economia dell’Eurozona non è in grado di assorbirla per buona parte, in quanto imprese e famiglie dopo anni di crisi hanno un livello di affidabilità inferiore rispetto al passato. Le banche infatti sono tenute, oggi più di ieri, a fare credito in dipendenza della solidità patrimoniale e soprattutto della capacità di rimborso del cliente. Le banche sono tenute praticamente da sempre ad osservare regole di natura prudenziale in tema di erogazione del credito, che comportano l’obbligo di effettuare accantonamenti comportanti assorbimenti del patrimonio di vigilanza a fronte del rischio di insolvenza, tanto più alti quanto più rischiosa è la posizione del richiedente credito. E tali regole sono diventate più restrittive con Basilea II e soprattutto con Basilea III, che di fatto limitano il potere delle banche di concedere credito a controparti con miglior rating. Tali regole, in uno alla imperante crisi economica, costituiscono la genesi del credit crunch. E’ pertanto evidente come la misura espansiva del quantitative easing risulti assolutamente insoddisfacente poiché non immette liquidità direttamente nell’economia reale, in quanto si devono attendere le decisioni del sistema bancario.

L’esperienza europea dimostra come non sia possibile aumentare e migliorare il credito bancario se l’economia rimane stagnante, e tanto perché non lo consentono proprio le regole del credito bancario (sic)! Se l’obiettivo del piano europeo di «Qe» è quello di ottenere un incremento del tasso d’inflazione – in uno alla riduzione dei tassi dei titoli di Stato dell’Eurozona ed alla svalutazione dell’euro – allora è evidente che ciò sarà impossibile o difficilmente realizzabile attraverso il solo canale bancario. Se non si immette liquidità nei portafogli di famiglie ed imprese, infatti, non riparte la domanda che, superando inizialmente l’offerta, determina un aumento dei prezzi e dunque un apprezzamento dell’inflazione, sino alla ricomposizione del saggio inflattivo se e quando l’offerta risulterà congrua alla domanda.

Con il quantitative easing 2.0 appena varato, le cose non potranno però cambiare più di tanto. Queste operazioni infatti producono benefici, in particolare nei primi tempi, soprattutto per le banche: “L’aumento di riserve seguito all’introduzione dell’APP – spiega la Bce nell’ultimo Bollettino Economico (novembre 2015) – corrisponde a un aumento dei depositi delle banche e, in qualche misura, a una vendita dei bond governativi tenuti nel proprio portafoglio”. Tale aumento di riserve per le banche si è affiancato a un calo rilevante di asset esteri e in un forte decremento di credito bancario verso il governo. In sostanza le banche hanno scambiato riserve con bond governativi venduti alla Bce.2

“È probabile che la prima fase della ricomposizione – dice sempre l’Eurotower – interessi soprattutto il lato del passivo nei bilanci bancari, poiché gli intermediari utilizzeranno la maggiore liquidità a loro disposizione per ridurre le passività più onerose. Questa fase iniziale comporterà verosimilmente l’acquisto di alcune attività liquide, che può essere effettuato in tempi brevi e a costi di transazione contenuti”. Risistemazioni di bilancio che contribuiranno – perlomeno nell’immediato – ad attribuire al sistema bancario una maggiore solidità in vista dei prossimi stress test. Va da sé che le penalizzazioni sui depositi overnight tenuti presso la Bce appaiono comunque meno gravose rispetto alle conseguenze per i bilanci delle banche derivanti dai rischi di insolvenza ancora pesantemente presenti nella clientela.

L’esperienza internazionale

Il punto è che spesso e volentieri il quantitative easing si è contraddistinto, prima nell’esperienza statunitense e da ultimo ancor di più nell’Ume, come un’iniezione di moneta alla cieca, come  osservato di recente dall’economista marxista Michel Husson.3

Husson richiama una significativa dichiarazione del presidente della Banca federale di Dallas, minoritario nella Fed: “Il denaro che abbiamo stampato non è stato distribuito bene come avevamo sperato. Ne è andato troppo verso una speculazione corruttrice o, più precisamente, corrosiva”.4

Come insegna l’esperienza statunitense, che ha comunque regalato più di qualche conseguenza favorevole all’economia, e come sta insegnando quella del quantitative easing europeo, nulla garantisce che le liquidità siano utilizzate in modo favorevole agli investimenti, a maggior ragione in Europa dove vige un tasso passivo sui depositi di liquidità in Bce.

In Giappone l’Abenomics di Shinzo Abe aveva previsto l’applicazione di tassi negativi ai depositi di danaro dei privati presso le banche. Secondo il governo tale misura avrebbe dovuto indurre i privati, soprattutto le imprese, ad investire, contribuendo così alla ripresa dell’economia, piuttosto che lasciare i propri risparmi “improduttivi” in banca.5 Una soluzione di questo genere sembra essere condivisa, tra gli altri, da Lawrence Summers che fa notare come in una condizione di stagnazione secolare, caratterizzata da tassi di risparmio elevati, da un’avversione al rischio e da una debole propensione ad investire – sia da parte delle banche che da parte dei principali operatori economici – per poter ristabilire correttamente la situazione sarebbe necessario applicare tassi d’interesse reali negativi.6 La soluzione prospettata è però ben difficile da adottare ed ha nella pratica dato pochi risultati positivi.

Altro dato empirico scaturito da piani di «Qe» è la diminuzione del tasso d’interesse. Ciò potrebbe contribuire ad una ripresa degli investimenti nel settore dell’edilizia e degli investimenti produttivi in genere. Keynesianamente la ripresa degli investimenti è la chiave di volta per la ripresa dell’economia. Tuttavia non si verifica alcuna vera ripresa in quanto, in assenza di una domanda dignitosa e di sbocchi profittevoli, le aziende preferiscono non investire ovvero investire con il contagocce. L’iniezione di denaro, inoltre, pur portando all’inflazione degli attivi finanziari, non porta all’inflazione generale, quella dei prezzi, che è indicatore – anche se non certo l’unico – di riavvio della congiuntura economica. L’alleggerimento quantitativo infatti, nelle intenzioni della Banca Centrale Europea, dovrebbe servire ad iniettare moneta nel sistema. L’aumento della massa monetaria comporterebbe quale naturale conseguenza la svalutazione della moneta e dunque l’aumento dei prezzi (ci vogliono più euro per acquistare il medesimo bene o servizio). L’incremento dei prezzi a sua volta (inflazione), secondo il mandato assegnato a Bce, deve mantenersi di poco inferiore al 2% per poter consegnare  un contributo positivo.

La crisi economica che ha colpito l’Eurozona a partire dal 2008 (range temporale in cui l’Italia ha perso ben 9 punti di Pil reale) ha spinto le autorità verso politiche di de-leveraging (riduzione dell’indebitamento). Adesso, per favorire la ripresa, con il «Qe» la Bce sta cercando di favorire nuovo indebitamento, il cosiddetto re-leveraging. Le banche private però preferiscono pagare una tassa alla Bce per parcheggiare pur di non immettere tutta la liquidità nell’economia reale.  L’eccesso di riserve bancarie è un problema che riguarda anche Giappone e Usa, le cui riserve costituiscono circa il 70-80% della base monetaria. Tuttavia, la Bce è l’unica fra queste tre banche centrali che impone tassi negativi sui depositi (-30bps), mentre lo stesso tasso per le riserve in eccesso è pari a 25bps per la Fed e 10bps per la Bank of Japan. In Europa le banche pagano per parcheggiare i soldi, mentre negli Usa e Giappone ricevono un interesse dalle rispettive banche centrali.7

Il problema dei non performing loan

Un serio problema di liquidità alle banche l’ha creato anche la crisi, con una vera e propria montagna di crediti deteriorati, noti con un inglesismo come non performing loan; solo le banche italiane ne hanno in pancia circa 200 miliardi: gli ultimi anni di crisi hanno deteriorato il rating medio di famiglie e imprese europee e quindi gli istituti, pur in presenza di politiche espansive da parte della Bce, erogano il credito con molta cautela, proprio per non accrescere la quota di crediti deteriorati e per non contraddire le regole prudenziali dettate in tema di erogazione del credito. Nel Bollettino Economico di novembre 2015 della Bce si legge inoltre che “alcuni timori profondamente radicati sulla deflazione e sulla crescita potrebbero giustificare la mancanza di entusiasmo nel settore immobiliare e degli investimenti imprenditoriali. A meno che l’accesso al credito non sia limitato dagli istituti di credito, formulando richieste di garanzie particolarmente pesanti”. Insomma la Bce immette liquidità spronando le banche a fare credito “dimenticando” Basilea!

Un alto livello di crediti di difficile riscossione tende a ridurre la crescita del Pil ed aumentare la disoccupazione. Si tratta di una conseguenza diretta delle misure di austerità perseguite negli ultimi anni, che non hanno fatto che acuire la recessione nei paesi della periferia, peggiorando i bilanci delle famiglie e delle imprese (che fanno sempre più fatica a ripagare i debiti contratti con le banche) e di conseguenza i bilanci delle banche.

La teoria monetaria della produzione

Nonostante la responsabilità diretta nell’elaborazione e nell’adozione di politiche monetarie, la Banca Centrale Europea non ha un ruolo centrale nel processo di produzione della moneta. Anzi, essa ha semplicemente il compito di soggetto terzo intermediario che si interpone nei pagamenti tra le banche come organo centrale dei pagamenti. Secondo la teoria monetaria della produzione (TMP) ma anche secondo altre teorie economiche non ortodosse, la moneta è endogena al sistema economico. E’, in particolare, un prodotto dell’attività creditizia delle banche. Secondo la teoria post-keynesiana dell’endogeneità della moneta, il volume di credito viene creato esclusivamente all’interno del settore privato, in quanto le banche non svolgono il ruolo di intermediari fra risparmiatori e mutuatari, bensì sono considerate produttrici di mezzi di pagamento, e svincolate dalla disponibilità precedente di depositi. Secondo la TMP come le altre teorie che si fondano sulla natura endogena della moneta, sono gli impieghi bancari a creare i depositi e non viceversa. Il sistema bancario crea moneta ex nihilo, in ossequio all’idea che i prestiti creino depositi. La teoria del circuito monetario è una descrizione del processo economico alternativa a quella neoclassica.9 Secondo la TMP la creazione della moneta consegue alla delibera della banca di concessione di una linea di credito in favore di un’impresa: la finanza iniziale serve sostanzialmente a pagare la forza lavoro. L’azienda produrrà i suoi beni e li collocherà sul mercato. Con gli utili realizzati rimborserà il prestito bancario e chiuderà il cerchio. La moneta è dunque il primum movens della produzione di merci, nel senso che si ritiene impossibile l’avvio del processo produttivo senza la preventiva creazione di mezzi di pagamento da parte del sistema bancario.8

Secondo il circuitismo, il funzionamento del sistema economico contemporaneo assume l’aspetto di una «economia monetaria di produzione», descritta attraverso lo schema del «circuito monetario». Il circuito monetario è un modello costituito da più fasi ed avente come punto di partenza la creazione di moneta sotto forma di credito concesso dalle banche alle imprese; le imprese utilizzano la moneta ricevuta per pagare i servizi ottenuti dai salariati; con l’acquisto della produzione da parte dei salariati e delle loro famiglie, la moneta ritorna alle imprese; queste ultime, nell’ipotesi di tassi di interesse tendenti allo zero, possono allora restituire la moneta alle banche e chiudere in questo modo il circuito; un nuovo prestito di moneta dalle banche alle imprese rimette in moto il circuito e così via.9 Nell’ambito della TMP risulta fondamentale dunque il ruolo delle banche, cui viene delegato il compito di produrre moneta. La moneta ha natura creditizia, nel senso che essa è costituita da credito bancario, concesso alle imprese per l’avvio del processo produttivo. La moneta svolge la sua funzione essenziale proprio nel momento del finanziamento della produzione – il cosiddetto initial finance – così che la produzione di beni e servizi presuppone la produzione di moneta. Il primo passo nel processo economico, quello che apre il circuito monetario, è costituito proprio dalla decisione presa dalle banche di accogliere la richiesta di concessione di credito (finanziamento). Se le imprese – le uniche ad avere accesso al credito bancario secondo i teorici del circuito – ricevono l’initial finance dal sistema bancario, e considerato che il primo acquisto da effettuare è quello delle prestazioni di lavoro salariato, mentre gli altri scambi sono ritenuti trascurabili essendo interni al settore delle imprese, otterranno credito pari al monte salari da corrispondere. La domanda di credito delle imprese dipende dunque dal salario monetario e dal numero di lavoratori che le imprese intendono occupare. Sussiste pertanto una stretta relazione tra mercato del lavoro e mercato del credito: eventuali aumenti del salario monetario o del livello occupazionale determinano un maggior fabbisogno di credito. Ciò lascia intendere chiaramente come le politiche creditizie delle banche possano condizionare, anzi di fatto condizionino significativamente, quantità di salari reali e livelli occupazionali.10 Secondo la TMP, la moneta bancaria viene creata nel momento in cui un soggetto utilizza il credito concessogli da una banca per effettuare un pagamento e viene distrutta nel momento in cui il credito viene rimborsato. La moneta nasce dalla banca e si estingue tornando alla banca: “il suo percorso può essere denominato circuito” .

Conclusioni: il fallimento del quantitative easing

Se l’obiettivo principale dell’Eurotower è il controllo dei prezzi ed in particolare il mantenimento o raggiungimento dell’inflazione di poco sotto il 2%, allora, nonostante i recenti proclami di Mario Draghi e del suo staff, il primo piano di quantitative easing non è stato per niente un successo.

I dati parlano chiaro: ad ottobre l’inflazione è tornata negativa (-0,1%, esattamente lo stesso livello registrato a marzo di quest’anno, quando la Bce ha avviato il suo programma).  Il tasso d’inflazione medio dell’Eurozona è infatti inferiore all’obiettivo dichiarato del 2% dalla fine del 2012 e inferiore all’1,5% dall’inizio del 2013. Quindi da praticamente tre anni non si raggiunge l’obiettivo prefissato.

Se si considera poi il tasso di crescita del Pil dell’area euro, esso inizia a contrarsi proprio con l’avvio dell’alleggerimento quantitativo, ponendo così termine alla modestissima risalita iniziata nel 2014. Come giustamente osservato,11 a monte del fallimento del «Qe» c’è sicuramente il rifiuto di sfruttare probabilmente il suo principale beneficio– l’abbassamento dei tassi d’interesse sui titoli di Stato – per realizzare politiche fiscali espansive, come hanno fatto gli Stati Uniti in seguito alla crisi finanziaria. Francoforte continua a confidare nella capacità delle politiche monetarie di stimolare l’economia da sé – ossia senza scomodare il settore pubblico –, attraverso l’aumento dell’accesso al credito (in virtù del miglioramento dello stato patrimoniale delle banche e dell’abbassamento dei tassi di interesse) e la svalutazione del tasso di cambio, al fine di agevolare le esportazioni.

In verità il grosso dell’incremento della massa monetaria (M3) dell’Eurozona nell’ultimo anno e mezzo è imputabile soprattutto al credito verso il settore pubblico, tanto che il debito pubblico dell’Eurozona  continua inesorabilmente a crescere, sia in termini assoluti che in relazione al Pil, piuttosto che al credito verso il settore il settore privato: il quantitative easing non ha contribuito pressoché per nulla ad aumentare il credito all’economia (famiglie e imprese).

Il quantitative easing 2.0 rischia dunque ancora una volta di fare un buco nell’acqua, soprattutto in quanto accompagnato da un ulteriore taglio del tasso sui depositi overnight. La Uem ha bisogno invece di politiche fiscali espansive, che portino ad una diretta immissione di liquidità nell’economia facendo anche a meno dell’intermediazione del circuito bancario ovvero ridimensionandone il ruolo. Il sistema bancario ha peraltro bisogno ancora di tempo per potersi assestare. La Bce deve poter prestare direttamente agli Stati, come possono già per esempio Fed, Banca d’Inghilterra e Banca del Giappone. Per fare questo bisognerà però porre mano al suo statuto.

1VITO LOPS, La liquidità esce dalla porta ma rientra dalla finestra: l’80% dei soldi del «Qe» è parcheggiato a Francoforte, Il Sole 24 Ore online, 23 novembre 2015, http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2015-11-23/la-liquidita-esce-porta-ma-rientra-finestra-l-80percento-soldi-pompati-bce-il-qe-e-parcheggiato-francoforte-102006.shtml?uuid=ACuMiUfB&fromSearch

Il Qe costa più caro alle banche tedesche che a quelle italiane, http://www.econopoly.ilsole24ore.com/2015/11/05/il-qe-costa-piu-caro-alle-banche-tedesche-che-a-quelle-italiane/ 5 novembre 2015

3MICHEL HUSSON, Economie. Les cordonnées de la crise qui vient, A L’Encontre,23 novembre 2015, http://alencontre.org/economie/economie-les-coordonnees-de-la-crise-qui-vient.html

4 RICHARD FISHER, Monetary Policy and The Maginot Line, July 16, 2014.

5MANUEL M. BUCCARELLA, Uscire dall’euro con un nuovo modello economico e sociale di redistribuzione del reddito, 22 ottobre 2015, http://anticapitalista.org/2015/10/22/uscire-dalleuro-con-un-nuovo-modello-economico-e-sociale-di-redistribuzione-del-reddito/

6 LAWRENCE SUMMERS, The Global Economy is in Serious Danger, The Washington Post, October 7, 2015, https://www.washingtonpost.com/opinions/the-global-economy-is-in-serious-danger/2015/10/07/85e81666-6c5d-11e5-b31c-d80d62b53e28_story.html

7 VITO LOPS, cit.

8 MANUEL M. BUCCARELLA, Rischia di funzionare assai poco il Quantitative Easing lanciato dalla Bce, Dialettica e Filosofia, marzo 2015, http://www.dialetticaefilosofia.it/public/pdf/78quantitative_easing_bce.pdf ; GUGLIELMO FORGES DAVANZATI, Nicholas Kaldor on endogenous money and increasing returns (Preliminary drafts), febbraio 2015; FERDINANDO FERRARA, Moneta endogena, disponibilità di credito e preferenza per la liquidità, in Monte dei Paschi di Siena-Studi e note di Economia,1/98,p.87,  https://www.mps.it/NR/rdonlyres/B7F8B85E-B84F-4D67-B22EAF8E1E9E1523/34396/g6_ferrara.pdf; Post Keynesian Approaches to Endogenous Money:a time framework explanation, Review of Political Economy, Volume 15, number 3, July 2003, University of Missouri – Kansas City.

9R.ARENA, A. GRAZIANI, N. SALVADORI, Money, credit, and the role of the state

10 AUGUSTO GRAZIANI, La teoria del circuito monetario, Milano, Editoriale Jaka Book, pp. 14 e 25-26; GUGLIELMO FORGES DAVANZATI, cit.; IDEM, Credito, produzione, occupazione: Marx e l’istituzionalismo, Roma, Carocci, 2011.

11THOMAS FAZI, BCE, il colossale fallimento del quantitative easing, 15 novembre 2015 ONEURO-REDAZIONE http://www.eunews.it/2015/11/15/bce-il-colossale-fallimento-del-quantitative-easing/45239

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