L’APPROVAZIONE DELLA LEGGE DELEGA SUL JOBS ACT CANCELLA ANNI DI LOTTE OPERAIE E SINDACALI, ED A DISCAPITO DEI GIOVANI.

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Il Parlamento ha approvato ieri, 4 dicembre, la legge delega sul lavoro. Ora il governo avrà tempo fino a giugno per tradurre il suo contenuto in 5 decreti legislativi: ammortizzatori sociali; servizi per il lavoro; semplificazione delle procedure e degli adempimenti; riordino delle forme contrattuali; tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro.

«L’Italia cambia davvero. Questa è #lavoltabuona. E noi andiamo avanti», ha commentato in un tweet il premier Matteo Renzi. «Il nostro impegno sarà ora quello di procedere speditamente alla stesura dei decreti di attuazione della delega, nella quale terremo conto delle considerazioni emerse dal lavoro parlamentare, a partire da quelli relativi all’introduzione del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti che vogliamo rendere operativo da gennaio», ha assicurato invece il ministro del Lavoro Giuliano Poletti.

Il Senato ha licenziato il provvedimento approvando la fiducia con 166 sì, 112 no e un astenuto. Mentre dentro il palazzo si svolgevano i lavori sul Jobs Act, per le vie della capitale un corteo di protesta si è scontrato con le forze dell’ordine, con feriti da entrambe le parti. Tra le novità introdotte, che hanno tenuto banco durante i lavori di Montecitorio e palazzo Madama, ci sono le modifiche sull’articolo 18 dello statuto dei lavoratori. La versione definitiva contenuta nella delega prevede che nel caso di licenziamento per motivi economici, sarà previsto un indennizzo economico «certo e crescente con l’anzianità di servizio». Mentre il «diritto alla reintegrazione» sarà previsto nei casi di «licenziamenti nulli, discriminatori e per specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato, che saranno fissate con i decreti delegati».

Il Parlamento consegna la delega sul lavoro al governo. La prima delega, in materia di ammortizzatori sociali, si legge nel dossier della Camera che illustra il provvedimento, è finalizzata a «razionalizzare le forme di tutela esistenti, differenziando l’impiego degli strumenti di intervento in costanza di rapporto di lavoro (Cassa integrazione) da quelli previsti in caso di disoccupazione involontaria (Aspi)». Lo scopo è quello di «assicurare un sistema di garanzia universale per tutti i lavoratori, con tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori, nonché di razionalizzare la normativa in materia d’integrazione salariale».

La seconda delega, in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive, ha lo scopo di «riordinare la normativa in materia di servizi per il lavoro». L’obiettivo, secondo quanto si legge nel dossier, è quello di «garantire la fruizione dei servizi essenziali in materia di politiche attive del lavoro su tutto il territorio nazionale, razionalizzando gli incentivi all’assunzione e all’autoimpiego e istituendo una cornice giuridica nazionale che faccia da riferimento anche per le normative regionali e provinciali». La delega prevede l’istituzione dell’Agenzia nazionale per l’occupazione e il rafforzamento dei servizi per l’impiego, valorizzando le sinergie tra servizi pubblici e privati. Si prevedono, inoltre, la valorizzazione delle funzioni di monitoraggio e valutazione delle politiche attive per il lavoro.

La terza delega riguarda la semplificazione delle procedure e degli adempimenti, e punta a conseguire «obiettivi di semplificazione e razionalizzazione delle procedure di costituzione e gestione dei rapporti di lavoro, al fine di ridurre gli adempimenti a carico di cittadini e imprese». In particolare, si vuole diminuire il numero di atti amministrativi inerenti il rapporto di lavoro, attraverso specifiche modalità.

La quarta delega punta a riordinare le forme contrattuali e l’attività ispettiva, per rafforzare le opportunità d’ingresso nel mondo del lavoro. Le modifiche dovranno rendere «maggiormente coerenti» i contratti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo, nonché a rendere più efficiente l’attività ispettiva. In particolare, si prevede la redazione di un testo organico di disciplina delle varie tipologie contrattuali. È previsto un nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti; inoltre sarà introdotto in via sperimentale il compenso orario minimo.

Infine la delega in materia di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro ha lo scopo di garantire un «adeguato sostegno alla genitorialità e favorire le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per la generalità dei lavoratori». A tal fine si prevede: l’estensione del diritto alla prestazione di maternità alle lavoratrici madri ‘parasubordinatè; l’introduzione di un credito d’imposta per le donne lavoratrici, anche autonome, che abbiano figli minori o disabili non autosufficienti (al di sotto di una determinata soglia di reddito individuale complessivo). La delega si dovrà inoltre occupare di: armonizzazione del regime delle detrazioni (dall’imposta sui redditi) per il coniuge a carico; promozione del telelavoro; incentivazione di accordi collettivi volti a facilitare la flessibilità dell’orario di lavoro e l’impiego di premi di produttività. È prevista anche la possibilità di cessione dei giorni di ferie tra lavoratori per attività di cura di di figli minori.

Sulle nuove generazioni il peso della crisi economica e della deregulation
Se sono apparentemente positive le disposizioni in tema di ammortizzatori sociali – da sottoporre al vaglio però dopo l’approvazione dei decreti legislativi, soprattutto in merito a quelle che saranno le effettive tutele dei lavoratori in caso di cessazione dell’azienda e dunque di cancellazione della cassa integrazione dopo il fallimento dell’impresa in crisi – sono molto preoccupanti le disposizioni relative ai licenziamenti, che varranno solo per i neoassunti. Si crea in tal modo uno spartiacque forzato e inumano tra chi un lavoro ce l’ha e chi no. Genitori e figli si troveranno ad avere discipline differenti con i primi a beneficiare – si fa per dire – delle disgrazie dei secondi. Gravissima è la disciplina prevista in particolare per i cd licenziamenti economici che, ove manchino i presupposti del licenziamento (come il caso di crisi o dissesto dell’azienda), il lavoratore “discriminato” non ha diritto alla reintegrazione sul posto di lavoro, ma solo ad un indennizzo modestissimo e ridicolo (si parla di appena una mensilità e mezza per anno di anzianità di servizio). Ed in effetti, in caso di licenziamento economico ingiustificato o immotivato, non si può non ritenere di essere davanti ad un licenziamento discriminatorio, che dovrebbe dunque essere sanzionato con il reintegro.
Ma non è solo la contraddittoria e discriminatoria – nei confronti dei giovani, in particolare – disciplina dei licenziamenti a destare preoccupazione. E’ quasi altrettanto grave l’ampliamento ope legis dello jus variandi in capo al datore di lavoro, a cui vengono riservati maggiori spazi per ricorrere al demansionamento del lavoratore. Altrettanto grave è la legalizzazione del controllo di tipo “panoptico” delle attività, in funzione di verifica della produttività del lavoro del dipendente, attraverso strumenti di controllo a distanza, come l’utilizzo del pc aziendale e l’attività di “spionaggio” sulla navigazione internet, o come l’appostazione di videocamere a circuito chiuso puntate sulle postazioni dei lavoratori. Sino ad oggi l’adozione di strumenti di controllo a distanza è vietata dallo Statuto dei Lavoratori e per alcuni versi anche dalla normativa sulla privacy, consentita solo in casi particolari e previo accordo tra azienda ed organizzazioni sindacali. Cosa accadrà domani? Sembra che il governo sia orientato verso un allargamento delle maglie.
Un’ulteriore breve considerazione va fatta, con riferimento alla nuova disciplina dei licenziamenti, circa la marginalizzazione del ruolo del giudice sul mercato e sul posto di lavoro. La minore possibilità di ricorso al giudice del lavoro così come la dotazione di armi spuntate a disposizione di questi, sono un’indiretta testimonianza di un nuovo ed ulteriore tentativo di privatizzazione della giustizia e di privatizzazione dei luoghi di espressione del conflitto. Il lavoratore, per definizione più debole socialmente del suo datore di lavoro, perde spesso quella necessaria sponda che sinora lo Stato gli ha offerto, per il tramite del giudice del lavoro, in termini di neutralizzazione e socializzazione dello scontro, quando si estrinsechi in una sentenza giusta e fondata su norme giuridiche socialmente e politicamente avanzate, come  quelle dello Statuto dei Lavoratori.

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