Finalmente il nostro governo si desta nei confronti del Presidente della Commissione Ue, il lussemburghese Jean-Claude Juncker, che in tutti questi anni, come primo ministro del Granducato, ha perfezionato un’enormità di accordi con multinazionali e grandi aziende anche del Belpaese per offrire loro lo scudo della fiscalità agevolata del suo paese, a danno ovviamente del fisco dei paesi di origine. D’altronde l’evasione fiscale in Italia ha un fatturato di almeno 60 miliardi di euro nel 2013 (con eguali minori entrate per il fisco italiano). Quel che è più grave è che in Italia la percentuale più significativa di tasse ed imposte è pagata dai soliti noti (dipendenti, pensionati e lavoratori autonomi fiscalmente fedeli), anche per assicurare, a volte solo in misura parziale, quanto sottratto dagli evasori.
I ministri delle Finanze delle principali economie dell’Eurozona alzano il pressing sul neo-presidente della commissione Ue, Jean Claude Juncker, inviando una lettera che rappresenta una dichiarazione di guerra verso la concorrenza sleale in ambito fiscale. Nel mirino c’è proprio il Lussemburgo, ma anche l’Irlanda e l’Olanda, destinatarie delle procedure d’infrazione o delle indagini della Ue, per ospitare regimi favorevoli a scatole societarie “cinesi” facenti capo, tra le altre, a Fiat o Amazon.
Nella missiva comune – indirizzata al commissario agli Affari economici Pierre Moscovici – Michel Sapin, Wolfgang Schaeuble e Pier Carlo Padoan hanno chiesto alla Commissione europea di adottare entro un anno una direttiva per impedire la concorrenza fiscale sleale.
Le file serrate dei tre Paesi non sono una notizia positiva per i colossi del web, che sono le principali società in grado di sfruttare le maglie larghe della rete del fisco. Nella missiva si dice che la mancata uniformità dei trattamenti fiscali in Ue “è una delle principali cause di una pianificazione aggressiva dal punto di vista fiscale, un’erosione della base impositiva e uno spostamento dei profitti” da parte delle società. La base di partenza, invece, è che ciascuno “paghi le tasse nello Stato dove sono generati i profitti”. Da quando “le prassi di certi Paesi e contribuenti sono divenute pubbliche di recente, i limiti di quanto è tollerabile sul fronte della competizione fiscale tra Paesi si sono spostati”. I ministri finanziari di Germania, Francia e Italia chiedono dunque “una serie di regole comuni, vincolanti sulla tassazione d’impresa che alimenti la competitività e combatta la pianificazione fiscale aggressiva” e quindi una direttiva che sia adottata “dai 28 Paesi membri prima della fine del 2015”.
Lentamente dunque si fa strada l’idea di una politica fiscale comune e comunitaria, che gradualmente possa eliminare le attuali divergenze e dar vita ad un diritto tributario uniforme. Il passaggio successivo dovrà essere l’unione politica.