MENTRE LA CINA TAGLIA I TASSI D’INTERESSE, IL GIAPPONE VA AVANTI CON L’ABENOMICS SENZA DI ABE.

bank of china

Mentre nell’Eurozona le dichiarazioni di oggi di Mario Draghi sull’avvicinarsi di una manovra di  quantitative easing, finalizzato all’acquisto di titoli di Stato sul mercato secondario con conseguente immissione di nuova liquidità, ha svegliato i mercati finanziari del Vecchio Continente,  si registra sempre oggi una mossa a sorpresa della Banca Popolare Cinese.

La Banca centrale cinese ha infatti tagliato i tassi di interesse per ridare slancio a un’economia in rallentamento. È la prima volta dal luglio 2012. La banca ha ridotto di 25 punti base il tasso sui depositi a un anno al 2,75% e il tasso sui prestiti a un anno di 40 punti base al 5,6% con effetto da domani. Alcuni operatori hanno definito «una sorpresa» la decisione, attribuita ai problemi peggiori del previsto dell’economia del Paese, che sta segnando i livelli di crescita annuali più bassi degli ultimi 24 anni.

La People’s Bank of China (Pboc) segue dunque Bce e Banca del Giappone nell’adottare nuove misure espansive per la crescita. Gli analisti hanno salutato favorevolmente la decisione della banca centrale cinese, in quanto l’eccessiva crescita dei tassi di interesse degli ultimi tempi rischiava di danneggiare l’economia reale, ed in particolare il cash flow delle aziende, con inoltre concreti rischi di deterioramento degli attivi bancari, determinati dalla minaccia di crescita dei crediti in sofferenza.

La Pboc ha inoltre dato maggiore flessibilità alle banche nel fissare i tassi d’interesse sui depositi, consentendo loro di offrire rendimenti fino a 1,2 volte il tasso di riferimento invece di 1,1 volte.

Nel comunicato diffuso oggi, la Pboc ha però affermato che non c’è bisogno di misure aggressive per stimolare la crescita dell’economia, frenando dunque le attese di nuovi interventi. Il Pil, ha detto la banca, cresce già ad una velocità ragionevole. Nel terzo trimestre dell’anno la crescita si è fermata al 7,3%, il livello più basso dal primo trimestre del 2009, poco al di sotto dell’obiettivo del 7,5% dichiarato dal Governo.

La scorsa primavera le autorità cinesi avevano adottato «un mini-piano di rilancio», con tagli fiscali e un ammorbidimento contenuto delle norme bancarie per incoraggiare i prestiti alle piccole imprese. Dopo l’estate la Banca centrale aveva poi cercato di stimolare l’economia con massicce iniezioni di liquidità (126 miliardi di dollari) e tagli alla quota di riserva obbligatoria delle banche commerciali.

Se in Cina si continua nello stimolare l’economia, la recessione che sta, ad onta degli impegni di governo e Boj, attanagliando l’economia giapponese in uno alla deflazione, non ferma però i forti propositi delle autorità nipponiche nel proseguire con le misure dell’Abenomics, anche se il primo ministro Abe ha rassegnato le dimissioni ed a breve vi saranno nuove elezioni.

La decisione della Banca del Giappone della fine di ottobre di espandere in modo significativo il proprio programma di acquisto di asset è arrivata a sorpresa. Lo yen si è indebolito e il mercato azionario si è impennato. La decisione, passata solo con una risicata maggioranza del board della Banca del Giappone, è stata presa per mostrare la risolutezza della stessa Banca del Giappone nel far aumentare le aspettative sull’inflazione, in modo che questa si muova finalmente verso il 2 per cento. Si temeva che dopo l’incremento della tassa sui consumi, le aspettative di inflazione si sarebbero abbassate troppo e che la Banca del Giappone avrebbe mancato l’obiettivo. I dati sul terzo trimestre appena rilasciati sembrano confermare questo timore. Il governatore Kuroda è stato esplicito sull’obiettivo di cambiare la mentalità pubblica, argomentando che «potremmo affrontare un ritardo nel cancellare la mentalità pubblica sulla deflazione».

Questo episodio di politica monetaria giapponese può insegnare all’Europa innanzitutto che è molto difficile cambiare le aspettative di inflazione e ottenere che il pubblico si muova da una mentalità di deflazione a una di inflazione. “Questa è una lezione molto importante per la Bce. Le aspettative di inflazione nell’area euro sono già scese in modo netto. Gli swap sull’inflazione a cinque anni indicano un tasso di circa l’1 per cento, invece dell’obiettivo ufficiale di poco meno del 2 per cento. La Bce ha bisogno di evitare che i mercati perdano ancora più fiducia nella capacità della Bce di raggiungere l’obiettivo. Più le aspettative di inflazione si allontanano (dagli obiettivi), più diverrà difficile per la Bce cambiarle ancora. La Banca del Giappone sta per incrementare un programma di quantitative easing molto grande. Se la Bce vuole prevenire un tale scenario, dovrebbe essere più audace con le sue politiche ora, per assicurarsi che le aspettative di inflazione tornino rapidamente indietro verso l’obiettivo del 2 per cento” (da Deflazione e crescita, tre lezioni giapponesi per l’Ue di Guntram B. Wolf da Linkiesta.it)

Alle misure di politica monetaria andrebbe  affiancata anche la politica fiscale. Il consolidamento fiscale è necessario anche in varie nazioni dell’area euro. Le nazioni più deboli sono particolarmente fragili in un’unione monetaria, a causa dell’assenza di una banca centrale prestatrice di ultima istanza e perciò devono riguadagnare una credibilità fiscale. In tutti i casi, i consolidamenti simultanei in tutta l’area euro fino al 2013 sono stati un peso che ha gravato sulla crescita e hanno contribuito a creare una fase di deflazione. I decisori dell’eurozona ora devono ridurre la velocità del consolidamento. Sarebbe utile se la nuova Commissione europea avesse successo nei suoi piani per creare uno stimolo, con l’investimento a livello di Eurozona finanziato da risorse fiscali comuni.

Dunque in Oriente bolle molto in pentola. Staremo a vedere cosa farà concretamente la Bce, che avendo iniziato ad acquistare asset bancari garantiti da crediti ed ipoteche (gli Asset Backed Securities), potrebbe a maggior ragione – questo è il ragionamento seguito da molti – procedere all’acquisto di titoli di Stato. Ipotesi fortemente contrastata dai tedeschi, visto che gli acquisti massivi dalla Bce comporterebbe una sorta di calmierizzazione del valore dei titoli, a tutto vantaggio dei bond emessi dagli Stati più deboli. Rispetto però a Paesi come Stati Uniti, Giappone, Cina, l’acquisto non verrebbe finanziato da moneta di nuovo conio, anche perché, per altro, l’Eurotower non è ente di ultima istanza. Tutti questi elementi comporterebbero, secondo non pochi economisti, dubbi sull’efficacia di un quantitative easing europeo.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...