Il Giappone entra ufficialmente in recessione: una notizia a sorpresa che spiana la strada a un rinvio del previsto nuovo rialzo dell’Iva e alla convocazione di elezioni anticipate. La Borsa di Tokyo ha reagito alla pubblicazione dei dati con un crollo pari a – 3%.
Secondo i dati preliminari rilasciati questa mattina, nel terzo trimestre il Prodotto interno lordo reale giapponese si è contratto a un tasso annualizzato dell’1,6% – con un arretramento dello 0,4% sul trimestre precedente – dopo il crollo del 7,3% – pari a -1,9% sul periodo gennaio-marzo – registrato nel secondo trimestre in seguito al rialzo dell’Iva dal 5 all’8% scattato il primo aprile. Gli analisti erano invece più ottimisti, prevedendo in media una ripresa del Pil intorno al 2% annualizzato che purtroppo non si è verificata. Due trimestri consecutivi di calo del Pil equivalgono a una caduta in recessione dell’economia. Nel terzo trimestre i consumi privati si sono ripresi solo dello 0,4% rispetto al trimestre precedente, la metà di quanto ci si attendeva, a segnalazione dell’impatto perdurante sulla spesa delle famiglie derivante dall’incremento della pressione fiscale indiretta (nel secondo trimestre erano crollati del 5%). Una sorpresa relativa, visto che i salari non hanno tenuto il passo con l’arrivo dell’inflazione, che viaggia intorno al 3% se si considera l’effetto-Iva. Gli investimenti di capitale delle imprese sono diminuiti dello 0,2%, mentre le esportazioni nette hanno contribuito positivamente al Pil solo per 0,1 punti percentuali.
Il primo ministro Shinzo Abe è stato protagonista in questi 2 anni anni della ripresa dell’economia nipponica con la sua ricetta detta Abenomics, incentrata su di una politica monetaria spregiudicata: per immettere liquidità nel sistema, il governo invece di indebitarsi – un processo che ha fatto gravitare il rapporto tra debito e Pil oltre il 200 per cento – delega alla banca centrale il compito di immettere liquidità nell’economia reale acquistando il debito pubblico. Secondo il programma di Abe, entro il 2015 la base monetaria sarebbe dovuta passare da 135 mila miliardi a 270 miliardi di yen. La Bank of Japan ha stampato nuova moneta, così come ha fatto la Fed, per poter acquistare titoli del debito pubblico direttamente dalle banche giapponesi (quantitative easing). Dato che la banca centrale acquista il debito, le banche saranno libere di utilizzare il contante per sostenere l’economia reale. Il debito pubblico è stato così travasato dalle banche private alla banca centrale al ritmo mensile dell’1 per cento del Pil nel 2013 e dell’1,1 per cento nel 2014. La Riserva Federale (Fed) negli Usa ha fatto un’operazione analoga dal 2008 acquistando dalle banche mensilmente debiti pari allo 0,50 per cento del Pil.
L’Abenomics ha ovviamente aumentato il tasso d’inflazione ma qui, nessun problema, in quanto l’aumento dell’inflazione sarebbe dovuto essere positivo per l’economia, sia nella produzione che negli scambi, sia nella creazione di nuovi posti di lavoro. Nuova ricchezza, insomma. Ed in effetti in questi due anni l’Abenomics ha raggiunto l’obiettivo di far lievitare i prezzi di un buon 2 per cento. Tuttavia ora il Giappone è ritornato in deflazione ed è nuovamente in crisi. Cosa si è inceppato nel meccanismo di Shinzo Abe?
Probabilmente anche l’Abenomics è incappato nella c.d. trappola della liquidità, di cui parlava già negli Anni Trenta l’economista John Maynard Keynes: la trappola è una situazione in cui la politica monetaria non riesce più ad esercitare alcuna influenza sulla domanda, e dunque sull’economia. Durante la Grande Depressione del ’29, in America, il tasso di interesse nominale raggiunse la parità e la temibile trappola – costo del denaro a zero senza effetti sulla ripresa economica – scattò inesorabile. Lo stesso accadde nel Giappone della Grande Deflazione negli anni novanta. Keynes utilizzava la curva della preferenza per la liquidità proprio per dimostrare l’inefficacia della politica monetaria nelle situazioni in cui il mercato si dimostra poco reattivo alle variazioni del tasso d’interesse. In questo caso l’economia esprime una capacità produttiva lontana da quella potenziale nonostante un costo del denaro talmente basso da stimolare, almeno in teoria, consumi e investimenti. Il costo del danaro è così basso che spesso, in tali circostanze, le banche si attendono dalla banca centrale finanziamenti a tasso zero se non addirittura remunerati e , mutatis mutandis, anche i privati dalle banche finanziatrici. Dunque l’economia arretra ed i capitalisti spesso congelano investimenti e consumi, in attesa di tempi migliori. Si fa molto risparmio e ciò nuoce all’economia.
Secondo tutte le attese, Abe dovrebbe annunciare domani lo scioglimento della Camera Bassa e la convocazione di elezioni anticipate per il 14 dicembre. Scontato il rinvio del nuovo rialzo dell’Iva al 10%, che avrebbe dovuto scattare dall’ottobre 2015 (secondo piani gia’ varati di risanamento delle finanze pubbliche) ed essere deciso in via definitiva in questi giorni. Molto probabile che il nuovo governo, appena entrerà in carica, annuncerà un nuovo pacchetto di stimoli all’economia (dopo quello da 5.500 miliardi di yen approvato nel dicembre scorso al fine di cercare di attutire l’impatto del rialzo dell’Iva). Anche la banca centrale potrebbe trovarsi a dover agire in senso ulteriormente espansivo sul fronte della politica monetaria, visto che l’”output gap” sembra tornare ad allargarsi e, assieme al calo dei prezzi petroliferi, potrebbe rilanciare le pressioni deflazionistiche. Potrebbero essere varate anche delle misure fiscali “compiacenti” che, in uno a nuove misure di politica monetaria, in ossequio alle soluzioni proposte dai neokeneysiani per sottrarsi alla trappola, potrebbero contribuire alla ripresa dell’economia nipponica.