SVIMEZ: SUD IN CONDIZIONI DISPERATE, IN RECESSIONE DA SETTE ANNI. LA SPERANZA DA CULTURA E TURISMO.

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L’ultimo rapporto pubblicato da Svimez evidenzia che nelle regioni meridionali il numero delle famiglie povere è aumentato del 40% negli ultimi cinque anni e gli occupati sono attualmente solo 5,8 milioni, il valore più basso dal 1977. Crolla anche la natalità: nel 2013 minimo storico. E nei prossimi 50 anni l’area “perderà 4,2 milioni di abitanti”.

Mentre l’Italia si appresta a vivere il suo quarto anno consecutivo di recessione, il Mezzogiorno d’Italia è addirittura al settimo anno, e si prepara ad affrontare l’ottavo, visto che nel 2015 è previsto un calo del Pil di un ulteriore 0,7%.  Dal Sud nel 2013 sono andate via ben 116mila persone. Nel Rapporto Svimez il Sud viene descritto come un’area a concreto rischio di “desertificazione umana e industriale”. Dove non solo aumenta la povertà (nell’ultimo anno le famiglie povere sono cresciute del 40% e i loro consumi sono crollati del 13% dal 2008 a oggi) ma si fanno anche meno figli: l’anno scorso si sono registrate più morti che nascite. Queste ultime sono state solo 177mila, il minimo storico, il valore più basso mai registrato dal 1861″. E in futuro andrà ancora peggio: “Il Sud”, si legge, “sarà interessato nei prossimi anni da uno stravolgimento demografico, uno tsunami dalle conseguenze imprevedibili. E’ destinato a perdere 4,2 milioni di abitanti nei prossimi 50 anni, arrivando così a pesare per il 27% sul totale nazionale a fronte dell’attuale 34,3%”.

Intanto l’industria continua a soffrire, con crollo degli investimenti del 53% in cinque anni e una flessione degli addetti che ha toccato il 20%. Gli occupati oggi sono solo 5,8 milioni, il valore più basso dal 1977. “Nel Sud, pur essendo presente appena il 26% degli occupati italiani, si concentra il 60% delle perdite determinate dalla crisi”, calcola l’associazione. “Nel 2013 sono andati persi 478mila posti di lavoro in Italia e 282mila di questi erano al Sud. Tra il primo trimestre del 2013 e il primo trimestre del 2014, l’80% delle perdite di posti di lavoro in Italia si è concentrata al Sud”. Con il risultato che il tasso di disoccupazione, secondo lo Svimez, non è del 19,7% come calcola l’Istat ma ben più alto: 31,5%. L’anno scorso il tasso di disoccupazione degli under 35 del Sud è salito al 35,7%.

Quadro ancora più fosco quello tratteggiato dalla Coldiretti, secondo la quale nel 2013 tre famiglie su quattro tra quelle che vivono nel Sud hanno tagliato la spesa alimentare, riducendo la qualità o la quantità di almeno uno dei generi alimentari acquistati. Per la prima volta la spesa per alimentari è scesa sotto quella delle famiglie del Nord, invertendo una tendenza storica che vedeva le regioni meridionali destinare al cibo una parte maggiore del proprio budget. E’ la Puglia, con un -11,3%, la regione i cui abitanti hanno stretto di più la cinghia.

Di fronte a questa emergenza sociale, secondo lo Svimez l’unica possibilità è una strategia di sviluppo nazionale incentrata sul Mezzogiorno con una “logica di sistema” e basata su quattro pilastri: rigenerazione urbana, rilancio delle aree interne, creazione di una rete logistica in un’ottica mediterranea, valorizzazione del patrimonio culturale. Dunque non solo turismo balneare, limitato a pochi mesi all’anno, che di per sé non basta a risollevare le sorti economiche del Mezzogiorno, e questo lo sanno tutti. E’ necessario utilizzare tutti i fondi a disposizione per la cultura, per creare nuovi musei, quando necessario, tenere aperte chiese e monumenti, investire sulla ricettività destagionalizzando. Per altro Matera è stata da poco nominata Capitale Europea della Cultura 2019 e sarà pertanto nelle condizioni di intercettare fondi considerevoli. Eppure il governo ha deciso di tagliare 500 milioni di euro di cofinanziamenti nazionali, quelli che si abbinano ai fondi di coesione ed ai fondi strutturali messi a disposizione da Bruxelles.

Nel frattempo l’Italia ha chiuso con Bruxelles l’accordo di partenariato sull’utilizzo dei fondi strutturali per il periodo 2014-2020, pari a un importo complessivo di 43 miliardi di euro. Di questi, 32,2 miliardi proverranno dai fondi della politica di coesione, 10,4 da quelli per lo sviluppo rurale e 537,3 milioni per il settore marittimo e della pesca. I fondi europei serviranno a cofinanziare i progetti regionali approvati, con la condizione che siano accompagnati da un piano di rafforzamento amministrativo.

I Programmi operativi (Por) di Campania, Calabria e Sicilia non sono ancora stati notificati a Bruxelles e sono, insieme a quello di una regione svedese, gli unici non ancora trasmessi agli uffici della Commissione. Quel che si sa già, però, è che nei tre programmi c’è scritto che il cofinanziamento nazionale per i prossimi sette anni sarà dimezzato: dal 50 al 25% dell’importo che arriverà dall’Europa. Per vie informali la decisione è già stata comunicata a Bruxelles, dopo che nei mesi scorsi il sottosegretario alla Presidenza del consiglio, Graziano Delrio, aveva espresso l’intenzione di tagliare la quota nazionale per le cinque regioni del Sud (Puglia e Basilicata in aggiunta alle tre citate) con l’obiettivo di svincolare la spesa dei fondi europei dal Patto di stabilità interno che, bloccando il cofinanziamento, impedisce anche di spendere le risorse europee. Puglia e Basilicata, in realtà, non solo sono state più virtuose nella capacità di spesa ma sono state più rapide delle altre, precipitandosi a completare i programmi operativi e a consegnarli a Bruxelles, bloccando – senza incontrare resistenze – il cofinanziamento al 50%. Il taglio, che non riguarda i programmi finanziati con il Feasr (aree rurali), è di circa 8 miliardi, di cui 3,4 alla Sicilia, 3,15 alla Campania e 1,5 alla Calabria. Le risorse, tuttavia, dovrebbero restare nella dotazione delle tre Regioni attraverso il Fondo sviluppo e coesione, secondo lo schema già utilizzato nel 2011 dall’ex ministro Fabrizio Barca.

 

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