MINIBOND TRA AGEVOLAZIONI DI LEGGE E CRISI DEL MERCATO DEI CORPORATE BOND.

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Il mercato dei minibond, ideato per offrire alle Pmi un  canale di finanziamento alternativo alla banca (stante il persistere del credit crunch), sta finalmente decollando in Italia, anche se finora i segnali di interesse sono arrivati più dal fronte dei potenziali investitori, che degli emittenti. Questi ultimi sono finora stati 36, con un’accelerazione negli ultimi mesi e la tendenza a emissioni piccole, ma non piccolissime, quasi mai inferiori ai 5 milioni di euro. Le emissioni effettuate in questi due anni sono state 38, per un importo complessivo di 6,7 miliardi di euro.
Quanto ai costi, secondo Extramot Pro, listino creato all’inizio del 2013, dedicato alla negoziazione di obbligazioni emesse da società di capitali, anche non quotate, il tasso medio pagato dalle società presenti su questo listino ammonta al 6,65%. A questo vanno aggiunti i costi di emissione e gestione (che variano in maniera sensibile in base alle caratteristiche dell’operazione, attestandosi in genere tra l’1,5 e il 2% della somma collocata sul mercato), cosa che spiega perché l’importo emesso debba superare certe soglie critiche, al di sotto delle quali i costi fissi non risultano facilmente ammortizzabili.

Dato tale ancora “primitivo” contesto, nel frattempo il governo Renzi ha varato una bozza di decreto che  punta innanzitutto su una serie di semplificazioni per Spa e Srl, eliminando alcuni paletti previsti dal codice civile: si va dalla cancellazione dei limiti patrimoniali (in particolare la garanzia del doppio del capitale socialeprimit della riserva legale e delle riserve disponibili) all’abrogazione per le Srl dell’obbligo di sottoscrizione dei titoli da parte di investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale. La rimozione di questo vincolo dovrebbe aiutare soprattutto le Pmi ad accedere a fonti di credito non bancario da parte di soci, terzi e investitori di private equity. Su questo punto l’esecutivo arriva con tantissimi anni di ritardo rispetto all’esperienza di paesi come la Gran Bretagnia e gli Stati Uniti d’America, ove vigono per altro anche rodati sistemi di mercati over-the-counter per lo scambio di quote e obbligazioni di piccole aziende, che reperiscono lì molte delle loro risorse finanziarie. La bozza di decreto prevede inoltre l’eliminazione della ritenuta d’acconto sulle obbligazioni non quotate collocate presso investitori qualificati e l’estensione della possibilità di dedurre gli interessi passivi su obbligazioni non quotate (eliminando il vincolo che queste siano sottoscritte da investitori qualificati non soci a più del 2% del capitale). Novità, queste, che dovrebbero agevolare le operazioni di collocamento privato molto diffuse nei mercati internazionali.

Il Decreto Sviluppo (D.L. 83/2012) del governo Monti

Con il cd. Decreto Sviluppo, il governo Monti ha inteso lanciare alcune misure in favore delle Pmi. Per “piccole” si intendono le imprese con meno di 50 dipendenti ed un fatturato annuo o uno stato patrimoniale annuo inferiore a 10 milioni di Euro mentre per “medie” si intendono le imprese con meno di 250 dipendenti ed un fatturato annuo inferiore a 50 milioni di euro o un totale dell’attivo dello stato patrimoniale inferiore a 43 milioni di euro. Tra le novità  anche i c.d. mini bond (ovvero cambiali finanziarie ed obbligazioni emesse dalle PMI).

L’art. 32 del Decreto Sviluppo, rubricato “Strumenti di finanziamento per le imprese” consente alle PMI (con espressa esclusione delle banche e delle micro-imprese, ovverosia di quelle con meno di 10 dipendenti e che realizzano fatturato o bilancio annui fino a 2 milioni di euro), in presenza di alcuni specifici requisiti, di ottenere capitali di investimento attraverso l’emissione di strumenti di debito a breve termine, detti anche cambiali finanziarie, e a medio lungo termine, meglio noti come obbligazioni e/o titoli similari ed obbligazioni partecipative subordinate.

mini bond possono essere emessi dalle PMI alle seguenti condizioni:

a) l’emissione dei titoli dovrà essere assistita da uno sponsor (banca, impresa di investimento, SGR, società di gestione armonizzata, SICAV e intermediari finanziari iscritti nell’elenco previsto dall’articolo 107 del Testo Unico Bancario) che fornisca il proprio supporto all’emissione ed al collocamento dei detti titoli;

b) l’ultimo bilancio dell’impresa emittente dovrà essere assoggettato a revisione contabile da parte di un revisore legale o di una società di revisione legale iscritti nel Registro dei revisori legali e delle società di revisione;

c) i titoli dovranno essere collocati esclusivamente presso investitori qualificati – così come definiti dall’art. 100 del D.Lgs. 58/1998 – che non siano, direttamente o indirettamente, neanche per tramite di società fiduciaria o interposta persona, soci della medesima impresa emittente; inoltre tali titoli dovranno essere destinati alla circolazione esclusivamente tra tali investitori.

Più specificamente: le imprese dovranno essere assistite da un soggetto avente il compito di supportarle nella fase di emissione e di collocamento, sottoscrizione e mantenimento nel proprio portafoglio, fino alla naturale scadenza, di una quota dei titoli, facilitando la liquidità degli scambi sui titoli per tutta la durata dei titoli stessi. Nel caso di mancata quotazione di questi ultimi, detto soggetto dovrà procedere ad una valutazione periodica del loro valore, nonché ad una classificazione delle società emittenti in una categoria di rischio alla luce della sua qualità nel rispettare i propri obblighi. In particolare, lo sponsor avrà l’obbligo di mantenere nel proprio portafoglio fino alla scadenza una quota dei titoli emessi nella seguente misura:

a) una quota non inferiore al 5% del valore di emissione, per le emissioni di valore fino a cinque milioni di euro; b) in aggiunta alla quota precedente, un ulteriore 3% del valore di emissione eccedente i cinque milioni di euro, fino ad un valore di dieci milioni di euro; c) sempre in più rispetto alle precedenti quote, il 2% del valore di emissione eccedente i dieci milioni di euro, facilitando altresì la liquidità degli scambi sui titoli per tutta la durata dell’emissione.

Lo sponsor dovrà anche provvedere a classificare la categoria di rischio dell’emittente, tenendo conto della qualità creditizia dell’impresa (cfr. Comunicazione della Commissione Europea 2008/C 14/02 e successive modificazioni) e dovrà fornire aggiornamenti almeno trimestrali sulla classificazione di rischio ed ogni qualvolta intervenga un elemento straordinario.

Come può facilmente evincersi dalla lettura delle condizioni stabilite dal “Decreto Sviluppo”, il sistema dei minibond prevede comunque un forte coinvolgimento del sistema bancario e degli intermediari soggetti a vigilanza prudenziale ex art. 107 del Testo Unico Bancario, quanto meno nel processo di avvio ed emissione degli strumenti, anche se gli stessi potranno essere scambiati sul secondario anche tra piccoli investitori, anche se – come si vedrà nel prosieguo – le migliori agevolazioni fiscali si hanno, per il momento, solo per i titoli scambiati sui mercati regolamentati. Quello della garanzia della liquidità dei minibond è un argomento di grande importanza, anche perché, con riferimento quanto meno ai tradizionali corporate bond, si registra, causa la critica congiuntura economica e le rigide regole di Basilea 3, una forte contrazione degli scambi sui mercati secondari.

Come già detto, le PMI in possesso di tutti i sopra citati requisiti potranno emettere cambiali finanziarie così come definite dalla L. 43/94 “Disciplina delle cambiali finanziarie” ma aventi scadenza non inferiore ad un mese e non superiore a trentasei mesi dalla data di emissione. L’ammontare massimo di cambiali in circolazione dovrà essere pari al totale dell’attivo corrente rilevabile dall’ultimo bilancio certificato e dette cambiali potranno anche essere emesse in forma dematerializzata (con previsione, in tal caso, di una procedura specifica di emissione). Le cambiali saranno esenti dall’imposta di bollo prevista all’art. 6 del Tariffario allegato al D.P.R. 642/72 ed il trattamento fiscale sarà uniformato a quello delle obbligazioni societarie.

Inoltre, le PMI potranno anche emettere strumenti obbligazionari; dette obbligazioni potranno essere anche “ibride“, ovverosia prevedere clausole di partecipazione agli utili e di subordinazione, purché con scadenza uguale o superiore a sessanta mesi. La clausola di partecipazione regolerà la parte del corrispettivo che spetta al portatore del titolo, commisurandola al risultato economico dell’impresa. Il tasso di interesse non potrà essere inferiore al Tasso Ufficiale di Riferimento pro tempore vigente ed è prevista una sorta di cedola annuale, da versarsi entro e non oltre trenta giorni dall’approvazione del bilancio.

La liquidità e i volumi di scambio sui corporate bond americani, in particolare, secondo un’indice di Rbs sono infatti calati del 70% rispetto ai livelli pre-crisi. Secondo la Sec il 20% dei bond societari esistenti sul mercato Usa non ha mai visto un compratore o un venditore dopo l’emissione. In Europa, mediamente, un corporate bond viene contrattato sul mercato secondario una sola volta al giorno: la media era di 5 volte un decennio fa. E le valute sono sulla stessa china: una recente analisi delle banche centrali mostra che i volumi medi giornalieri di trading sono calati ad aprile dell’8% rispetto al 2013. Riduzione che arriva al 20% negli Usa.Gli investitori comprano i corporate bond quando vengono emessi dalle aziende sul cosiddetto mercato primario (che macina record su record), ma poi non li scambiano più sul secondario: anche perché non c’è quasi più nessuno che ne garantisca l’esistenza. Per effetto delle nuove regole di Basilea 3, infatti, le grandi banche d’affari hanno ridotto l’attività di trading e di market making. Questo rischia di diventare un boomerang: un mercato illiquido, infatti, può diventare distruttivo nelle fasi ribassiste.

Il fenomeno ha già destato l’allarme delle Autorità, dal Fondo monetario alla Bri: in parte nasce come conseguenza delle regole di Basilea 3 e della Volcker rule americana, create per rafforzare i bilanci delle banche. Dato che le nuove normative penalizzano le banche sui rischi di bilancio e sulla leva finanziaria, le grandi istituzioni finanziarie stanno gradualmente riducendo i loro  «trading book»: attualmente le americane, che hanno sempre svolto il ruolo di primary dealers (cioè che hanno sempre garantito l’esistenza di un mercato secondario), stanno tagliando questa attività per diminuire la quantità di titoli nei loro bilanci. Secondo le stime di Rbs, basate su dati della Fed, le maggiori banche Usa hanno ridotto i titoli contenuti nei «trading book» alla fine di ogni giornata del 70%. Se si guardano solo i bond aziendali Usa, si scopre che nei «trading book» ne sono rimasti solo 20 miliardi: si tratta di appena lo 0,2% del mercato Usa.

Trattamento fiscale

Il Decreto Sviluppo ha anche costituito un regime fiscale per le obbligazioni emesse da PMI non quotate omogeneo a quello previsto per le società quotate. Nello specifico, anche le PMI potranno emettere titoli obbligazionari e godere dell’esenzione dall’applicazione della ritenuta sugli interessi e gli altri proventi corrisposti sulle obbligazioni.

Sarà possibile, inoltre, dedurre gli interessi passivi corrisposti sulle obbligazioni secondo le stesse regole previste per le società quotate – ovverosia nei limiti del 30% del reddito operativo lordo risultante dall’ultimo bilancio approvato – qualora le obbligazioni siano sottoscritte da investitori qualificati.

Le spese di emissione dei mini bond potranno essere dedotte nello stesso esercizio in cui sono state sostenute, indipendentemente dal criterio di imputazione a bilancio.

Infine il Decreto Sviluppo ha previsto anche un’imposta agevolata per chi acquista i mini bond, dando la possibilità ai risparmiatori di pagare un’imposta c.d. “sostitutiva” pari al 20% dell’interesse maturato sul titolo. Tale agevolazione sarà però fruibile solo per i mini bond scambiati su mercati regolamentati.

Fondo di garanzia Pmi esteso ai minibond

In «Gazzetta Ufficiale» è approdato in questi giorni  il decreto dello Sviluppo economico che consente di estendere il Fondo di garanzia per le Pmi alla sottoscrizione di minibond da parte di investitori istituzionali, così come previsto dal Dl 145/2013 («Destinazione Italia»). Complessivamente ci sono 50 milioni di euro. L’importo massimo garantibile per singola azienda sarà di 1,5 milioni e i minibond potranno avere una durata compresa tra 36 e 120 mesi. Come emerso nella risposta a un question time in commissione Finanze alla Camera dello scorso 9 luglio, da novembre 2012 a giugno 2014 hanno emesso mini-bond (strumenti di debito come cambiali finanziarie, con scadenza da 1 a 36 mesi, e titoli obbligazionari a medio e lungo termine, emessi dalle Pmi) 38 imprese non finanziarie, di cui due straniere, per un importo complessivo di 6,7 miliardi.

Possono richiedere la garanzia diretta del Fondo, le banche, gli intermediari finanziari e i gestori a fronte di singole operazioni di sottoscrizione di mini bond, ovvero su portafogli di mini bond.  Ai fini dell’ammissibilità alla garanzia del Fondo, le operazioni di sottoscrizione di mini bond, sia presentate singolarmente per la garanzia del Fondo sia comprese nell’ambito di un portafoglio di mini bond, devono riguardare mini bond aventi, ciascuno, le seguenti caratteristiche:

a) essere finalizzati al finanziamento dell’attività d’impresa; b) non avere ad oggetto la sostituzione di linee di credito già erogate al soggetto beneficiario finale; c) le date di sottoscrizione e di messa a disposizione delle somme al soggetto beneficiario finale devono essere successive alla data di delibera del Consiglio di gestione di accoglimento della richiesta di garanzia del Fondo; d) avere una durata compresa tra 36 e 120 mesi; e) non essere assistite da altre garanzie, reali o assicurative, per la quota coperta dalla garanzia del Fondo.

La garanzia del Fondo può essere concessa ai soggetti a fronte  della singola operazione di sottoscrizione di mini bond, nelle seguenti misure:

a) fino al 50 percento del valore nominale del mini bond sottoscritto, nel caso in cui la stessa preveda un rimborso a rate sulla base di un piano di ammortamento (amortising mini bond); b) fino al 30 percento del valore nominale del mini bond sottoscritto, nel caso in cui la stessa preveda il rimborso unico a scadenza (bullet mini bond). L’importo massimo garantibile dal Fondo per singolo soggetto beneficiario finale è pari a euro 1.500.000,00.

Il fondo di garanzia copre perdite sino all’80% del loro ammontare, comprensivo di capitale, quota interessi, interessi di mora ed altre somme contrattualmente previste. Tale misura è al momento ampiamente insufficiente per quantità e portata, ma rappresenta comunque un primo segnale di stimolo alla sottoscrizione, da parte dei principali intermediari bancari e finanziari, di strumenti come i mini bond. Purtroppo non sembra idoneo a creare le condizioni per un successivo collocamento presso il pubblico degli investitori privati e dei risparmiatori sul secondario. Questa situazione – come già accennato sopra – nasce come effetto della regolamentazione internazionale ideata per ridurre i rischi sistemici. Le autorità mondiali dopo la crisi hanno infatti iper-regolamentato le banche, causando la loro ritirata da molti settori della finanza e del credito: questo ha lasciato il campo libero ad altri soggetti. Secondo il presidente della Fed di New York, negli Usa il sistema bancario produce solo il 20% dei finanziamenti alle imprese: le aziende ottengono la stragrande maggioranza del credito da altri soggetti. Il 37% del totale è erogato alle aziende dai piccoli risparmiatori, che negli ultimi anni hanno acquistato obbligazioni aziendali in quantità. Il 17% del mercato dei bond societari è in mano ai fondi comuni, sui quali però c’è una grande concentrazione: i primi 5 hanno in mano il 50% del totale. Ci sono poi gli Etf, che detengono circa l’1% del mercato dei corporate bond. Il mercato del credito Usa è dunque gestito in prevalenza da soggetti non bancari (il fenomeno prende il nome di disintermediazione ndr). Soggetti meno regolamentati e molto vulnerabili, che – quando l’umore dei mercati peggiora – tendono a vendere in massa. È questo il comportamento tipico dei risparmiatori. Ma anche dei fondi comuni. E, soprattutto degli Etf.

Se banche ed altri intermediari vigilati da Bankitalia continueranno, anche in Italia, ad avere difficoltà a garantire le necessarie liquidità per far funzionare adeguatamente gli scambi sui mercati secondari di mini bonds ed in genere di corporate bond, sarà allora necessario prevedere ulteriori strumenti di intervento.

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