Ogni italiano consuma 432 chili di cemento, contro i 314 della media europea. 5592 le cave attive, 16mila quelle dismesse. E la normativa nazionale di riferimento risale al 1927.
“Tra i primati alla rovescia di cui possiamo vantarci c’è anche quello di essere i maggiori produttori-consumatori di cemento nel mondo, due-tre volte gli Stati Uniti, il Giappone, l’Unione Sovietica: 800 chili per ogni italiano”. Era il 1991 quando Antonio Cederna in Brandelli d’Italia descriveva la situazione di un Paese irresponsabilmente incapace di rispettare il suo territorio. Da allora le cifre si sono assottigliate, scendono fino a 432 chili di consumo pro capite. Ma sono nettamente al di sopra della media europea, attestata sui 314. La presentazione a Roma del Rapporto annuale sulle Cave di Legambiente offre un quadro aggiornato su un tema che continua a rimanere ai margini della discussione politica. Nonostante la situazione, nella gran parte delle regioni italiane, sia da tempo da bollino rosso.
Le cave attive sono 5.592. Delle quali 674 in Lombardia, 563 in Veneto e 504 in Sicilia. Addirittura 16.045 quelle dismesse e monitorate. Con la Lombardia che guida la classifica con 2.895, seguita dalla Puglia con 2.579 e dal Veneto con 2.075.
A regolare una situazione improntata alla precarietà non contribuisce certo in maniera adeguata lo strumento normativo di riferimento a livello nazionale, costituito dal Regio Decreto del 1927. In molte Regioni, a cui nel 1977 sono stati trasferiti i poteri in materia, i problemi poi sono l’esito di una pianificazione “incerta” e di una gestione delle attività estrattive senza controlli pubblici trasparenti.
Ringraziamo per la segnalazione il blog di Noidem Salerno
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