IL RIENTRO DEI CAPITALI. CI HA TENTATO ANCHE LETTA.

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Lo scorso 19 aprile è comparso su La Gazzetta del Mezzogiorno, a pag. 25, un illuminante articolo a firma di Gaetano Nanula, nel quale si affronta la scottante tematica del c.d. rimpatrio dei capitali scudati.

Il primo atto di quella che sembra essere una vera e propria pantomima in salsa italiana, ha inizio con l’art.12 del decreto legge 350/2001: i “capitali” detenuti all’estero, prevalentemente in paradisi fiscali, si potevano far rientrare in Italia col semplice pagamento del 2,5% del loro importo. “Erano, in effetti – scrive Nanula – redditi netti accumulati nei paradisi fiscali, che avrebbero dovuto essere tassati in Italia con l’aliquota complessiva introno al 50% (IRES più IRAP, più IVA). Li chiamarono “capitali scudati”, perché protetti dallo “scudo” truffaldino che vietava lo svolgimento nei loro confronti di ogni attività diretta ad accertare l’evasione fiscale e l’applicazione di ogni correlata sanzione amministrativa o penale”.

Il secondo atto si è avuto nel 2009, con l’art. 13-bis del decreto legge 78/2009, che comportò il raddoppio dell’imposta dal precedente 2,5% al 5%, con un risparmio di ben dieci volte rispetto al cumulo impositivo vigente per gli onesti, pari come detto a circa il 50%. Il pagamento dell'”imposta straordinaria” realizzò i medesimi effetti favorevoli per i beneficiari, vale a dire un vero e proprio condono tombale in sede amministrativa, giudiziaria, civile e tributaria e con l’esenzione dalla segnalazione, prevista dalla normativa antiriciclaggio, per le operazioni sospette.

Nel frattempo è ampiamente continuato il dirottamento, attraverso società di comodo offshore, di ingenti redditi realizzati in ambito internazionale, ma che dovrebbero essere tassati in Italia. “Sembrerebbe – aggiunge sempre Nanula – che tali redditi, disseminati nei vari paradisi, dove si pagano tributi forfettizzati, preventivamente concordati,a livello bagatellare, ammontino attualmente intorno ai 500 miliardi di euro, di cui circa 300 nella sola Svizzera”.

Secondo la Corte dei Conti, l’evasione fiscale in Italia ammonta tra i 120 ed i 140 miliardi all’anno, ma altre stime parlano addirittura di 180 miliardi annui (cfr. il nostro articolo Se 180 vi sembran pochi …https://economiaefuturo.wordpress.com/2014/03/07/se-180-vi-sembran-pochi/). Una parte significativa dell’evasione fiscale viene realizzata attraverso il congegno della triangolazione con società segrete allocate in paradisi fiscali. Sarebbe giusto che i capitali, o per meglio dire, i redditi che si vorrebbero far rientrare in Italia per ricongiungersi con i proprietari residenti regolarmente nel nostro Paese, scontassero il regime impositivo del 50% circa, oltre al pagamento di una sanzione amministrativa, almeno in parte.

Da ultimo, sotto traccia, anche il governo Letta ha cercato di riproporre il suo bel decreto per il rimpatri dei capitali: si tratta del decreto legge 28 gennaio 2014, n. 4, recante “Disposizioni urgenti in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero”, che all’art. 1 inseriva la finzione giuridica, già presente nei precedenti decreti, che i redditi portati all’estero fossero capitali esportati senza dichiarazione. Si presumeva, inoltre, che tali capitali fossero fruttiferi di interessi pari al tasso ufficiale medio di sconto vigente in Italia e prevedendo dunque la tassazione degli interessi, al 3%. Alla fine però, il governo ha preferito eliminare quell’articolo 1 per cui,dunque, nessuna riedizione del rimpatrio dei capitali (o redditi).

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